Il principio di equivalenza trova applicazione anche se non espressamente richiamato negli atti di gara
T.A.R. Bari, Sez. III, 2/10/2024, nr. 1032
Due recenti sentenze offrono nuovi spunti di riflessione su come il principio di equivalenza debba garantire da un lato, la più ampia partecipazione alle procedure pubbliche scongiurando ingiustificati restringimenti all’accesso e, dall’altro, il rispetto dei requisiti tecnici imposti dalle stazioni appaltanti.
Da una parte la sentenza del Tar Campania, che sollecita le Stazioni Appaltanti ad adoperare il principio di equivalenza con le dovute cautele quando le difformità di un prodotto offerto attengono ai requisiti minimi strutturali necessari ad assicurare una funzionalità che non può essere altrimenti garantita e, dall’altro la sentenza del Tar Lazio che riconosce appieno l’applicabilità del principio qualora la difformità riguardi specifiche tecniche “funzionali” ad un risultato che può essere raggiunto anche in “via alternativa”, in assenza di determinate caratteristiche.
Analizziamo i passaggi più significativi delle due pronunce, cercando di comprendere le regole che, secondo la giurisprudenza, devono guidare l’applicazione del principio da parte delle Stazioni Appaltanti nonché degli operatori economici.
Il giudizio da cui origina la sentenza del Tar Campania nasceva dall’impugnazione promossa dalla seconda classificata avverso l’aggiudicazione della fornitura di Tomografi a Coerenza ottica disposta dall’ASL 107 – Napoli 2, sul presupposto della non conformità dei prodotti “vincenti” rispetto a ben sei requisiti minimi previsti dalla lex specialis di gara, cui non poteva ritenersi applicabile il principio di equivalenza funzionale.
Più precisamente, secondo la ricorrente, le caratteristiche di cui risultava carente il dispositivo dell’aggiudicataria erano caratteristiche minime strutturali dell’apparecchiatura oggetto di gara e non mere specifiche tecniche funzionali, per cui l’ammissione in gara del prodotto non poteva ritenersi giustificata dal ricorso al principio di equivalenza, men che meno in assenza di adeguata motivazione sul punto da parte della P.A.
Secondo la disamina dei giudici la capacità del prodotto di raggiungere risultati funzionalmente soddisfacenti ma non corrispondenti a quelli specifici descritti dall’Amministrazione non può ritenersi sufficiente ad assolvere all’onere di conformità. Perdipiù, in un caso simile, l’Amministrazione non può limitarsi ad una laconica argomentazione di presunta equivalenza ma è tenuta a dare una specifica motivazione della scelta.
Così, accogliendo le argomentazioni della ricorrente il Collegio ridefinisce le coordinate per una corretta attuazione del principio precisando che il giudizio di equivalenza presuppone una valutazione effettuata dalla Commissione di gara che, prendendo come riferimento il risultato preteso dall’Amministrazione mediante l’individuazione di specifiche tecniche o requisiti minimi nella lex di gara, “verifica se lo stesso, in presenza di difformità sia comunque raggiunto dal prodotto offerto attraverso soluzioni alternative rispetto a quelle previste dal bando.”
Il Tar partenopeo chiarisce anche che a seconda del tenore dei requisiti cui attiene la difformità riscontrata varia l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione: la motivazione può essere più “scarna” solo ove siano dettagliatamente descritti i fini a cui tendono le caratteristiche specificamente previste dal bando essendo, in tal caso, immediatamente percepibile il risultato voluto; di contro, qualora la difformità riguardi caratteristiche espresse in parametri fisici, è necessaria una motivazione dettagliata sulle ragioni del giudizio positivo, pena lo sconfinamento della discrezionalità dell’Amministrazione in arbitrarietà.
Viceversa, la sentenza del Tar Roma torna invece a rimarcare le potenzialità del principio, se correttamente applicato.
Nel caso sottoposto al suo esame, il malcontento nasceva dall’aggiudicazione di uno dei Lotti della procedura indetta dalla Asl Roma 2 per l’affidamento della fornitura di D.M per anestesia e rianimazione occorrenti alle strutture sanitarie.
In particolare, la ricorrente contestava che il prodotto offerto dall’aggiudicataria per il Lotto in questione, avente ad oggetto la fornitura di “Maschera monopaziente total face doppio ingresso per ridurre al minimo di rebreathing di CO2, con passaggio dedicato per SNG” non presentasse alcune delle caratteristiche richieste, a partire dal doppio ingresso, utile ad assicurare la finalità di riduzione del rebreathing di CO2 richiesto a pena di esclusione.
Tuttavia, rilevato che in questo caso il prodotto offerto dall’aggiudicataria poteva ritenersi funzionalmente omogeneo a quello richiesto ed in grado di assolvere alla medesima finalità di impiego, il Tar Capitolino ha respinto il ricorso avallando tanto l’applicazione del principio di equivalenza in relazione alle caratteristiche attenzionate, tanto il fatto che la PA vi avesse fatto ricorso implicitamente in quanto, nel caso in questione – diversamente da quello esaminato dal Tar Campania – la rispondenza in via equivalente al requisito prescritto era già desumibile dalla documentazione tecnica dell’aggiudicataria.
Ad avviso del Tar, la mancata applicazione del principio nel caso di specie, si sarebbe tradotta in una ingiustificata limitazione del confronto e in una violazione, a cascata, del principio di massima concorrenza e “par condicio” tra i concorrenti.
Dall’analisi delle due pronunce emerge in maniera lampante quanto il principio di equivalenza, a seconda che venga applicato entro i limiti di legge o contra legem, possa costituire o uno strumento dotato di altissimo potenziale pro-concorrenziale, o, al contrario un illegittimo “salvacondotto” per offerte non in grado di assolvere alle specifiche finalità di impiego attese dalla Stazione Appaltante.
È dunque fondamentale un’applicazione “consapevole” affinché lo stesso possa sortire gli effetti auspicati dal legislatore e rappresentare un istituto davvero strategico per gli operatori economici.