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Il principio di equivalenza tra conformità sostanziale e discrezionalità tecnica

27/05/2025
Consiglio di Stato, Sez. III, 24/04/2025, nr. 3545

La sentenza in commento offre un’occasione utile per riflettere sul corretto utilizzo del principio di equivalenza nelle gare pubbliche, ribadendone la portata applicativa generale, che dunque va oltre il caso esaminato.

Il contenzioso, in particolare, nasceva dall’impugnazione dell’aggiudicazione di un operatore che aveva offerto, nell’ottica della ricorrente, un dispositivo con caratteristiche difformi rispetto a quelle indicate nel capitolato tecnico. Lamentata l’assenza di una verifica istruttoria adeguata e di una dichiarazione di equivalenza, la società ricorrente chiedeva l’annullamento della gara. La stazione appaltante, dal canto suo, riteneva invece il prodotto conforme sul piano funzionale motivando l’aggiudicazione anche alla luce della valutazione tecnica espressa dal proprio servizio tecnico.

Nel sancire la correttezza dell’operato della Amministrazione, il Consiglio di Stato ha sottolineato che il principio di equivalenza – espressamente richiamato nell’Allegato II.5 al D.Lgs. 36/2023 – impone alla stazione appaltante di valutare le offerte sulla base della “conformità sostanziale” rispetto al fabbisogno, anche in presenza di soluzioni tecniche differenti da quelle testualmente descritte nella lex specialis. Le specifiche tecniche, infatti, non sono vincolanti nel “quomodo”, ma solo nel “quoad effectum”: in altre parole l’essenziale è che il prodotto garantisca il risultato richiesto.

È questa dunque la ratio che sorregge il favor partecipationis e, più in generale, il principio di concorrenza.

Tale valutazione, come noto, appartiene all’area della discrezionalità tecnica dell’amministrazione, e dunque il giudice amministrativo, dice il Consiglio, non può sovrapporre un proprio giudizio tecnico a quello della Stazione Appaltante, salvo casi di manifesta illogicità, errore tecnico macroscopico o travisamento dei fatti. Ne consegue che chi intende contestare un giudizio di equivalenza deve fornire solidi elementi istruttori in grado di scardinare l’attività valutativa dell’ente (es. relazioni scientifiche, pareri pro-veritate, report comparativi, etc.).

Altro snodo centrale riguarda la distinzione – non sempre agevole – tra requisiti tecnici minimi inderogabili e specifiche suscettibili di equivalenza. Solo nel primo caso è preclusa la valutazione di conformità funzionale. In tutti gli altri, la stazione appaltante ha il dovere di considerare soluzioni alternative che, pur difformi formalmente, soddisfino le medesime esigenze funzionali. Escludere offerte che presentano una divergenza formale, ma raggiungono lo stesso risultato, significherebbe operare un’irragionevole compressione della concorrenza.

È indubbio, d’altro canto, che serve da parte della Amministrazione un’istruttoria chiara, coerente e documentata, che dimostri come l’offerta, pur difforme, sia tecnicamente adeguata. In tal senso, la motivazione del provvedimento di aggiudicazione deve esplicitare il percorso logico che ha condotto a ritenere l’equivalenza, evitando affermazioni apodittiche o mere formule di stile. È altresì fondamentale che la documentazione di gara distingua con nettezza tra requisiti minimi inderogabili e specifiche aperte a valutazione funzionale, onde evitare ambiguità interpretative.

In sintesi, la sentenza consolida un orientamento già maturo: l’equivalenza è principio generale del sistema e strumento necessario per tutelare la concorrenza e valorizzare l’innovazione, ma richiede rigore metodologico e coerenza motivazionale nella sua applicazione concreta.