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“Modello 231” e reato di aggiotaggio. Una interessante pronuncia sul ruolo degli apicali e la necessità di un sistema integrato.

30/03/2022

Le imprese adottano procedure aziendali volte a regolamentare i processi aziendali con l’obiettivo di semplificare, chiarire e standardizzare le attività operative poste in essere all’interno dell’organizzazione.  Anche tali procedure devono essere tenute in considerazione all’atto dell’introduzione del Modello organizzativo 231, poiché può avvenire che esse regolamentino attività a rischio di commissione di uno dei reati presupposto di cui al D.Lgs. 231/2001.

La potenziale stratificazione derivante dall’adozione di molteplici e diverse procedure può comportare anche risvolti negativi per l’organizzazione, finanche l’inidoneità del Modello 231. Tali conseguenze negative possono essere evitate mediante l’integrazione delle procedure già esistenti con il modello 231: un sistema integrato consente infatti all’impresa la coniugazione di esigenze diverse, senza che i processi aziendali siano appesantiti da ulteriori procedure.

Un caso  interessante di “discordanza” tra Modello 231 e procedure “operative” ci viene fornito da una vicenda processuale avente ad oggetto la responsabilità amministrativa di una società per reato di aggiotaggio che punisce chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull'affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari”. Si tratta, per così dire, di un delitto “di comunicazione”.

I fatti sottesi alla vicenda riguardavano la diffusione, ad opera di due figure apicali (presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato), di notizie false e concretamente idonee ad alterare il valore delle azioni dell'ente e delle obbligazioni da quest'ultimo emesse. In particolare, era stato accertato che i vertici aziendali non avevano rispettato il sistema di elaborazione delle comunicazioni rivolte al mercato previsto dalle procedure interne finalizzate proprio a scongiurare il rischio specifico di commissione del reato di cui all'art. 2637 c.c., manipolando la bozza di alcuni comunicati stampa elaborati dalle funzioni interne della società.

I giudici di prime cure e la Corte di Appello di Milano (Sent., 18/06/2012, n. 2415) concludevano entrambe per l’assoluzione dell’Ente, sull’assunto che:

  • la società aveva adottato un modello di organizzazione e gestione adeguato che mirava alla prevenzione anche del reato di aggiotaggio;
  • i soggetti apicali avevano posto in essere la condotta di elusione fraudolentadel medesimo modello.

La vicenda giungeva dinanzi alla Corte di Cassazione su ricorso del Procuratore Generale che sosteneva che la condotta fraudolenta dei vertici della società fu posta in essere a danno degli operatori dei mercati ai quali furono comunicate false notizie, idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori delle azioni e delle obbligazioni, e che, per tale ragione, il modello organizzativo non era valido ed efficace, in quanto solo i due citati soggetti avevano il controllo sul testo definitivo dei comunicati stampa.

In sede di pronuncia (Sent., 30/01/2014, n. 4677), la Corte di cassazione affermava, per quanto di nostro interesse in questa sede, i seguenti principi:

  • la responsabilità amministrativa da reato dell’ente non trova fondamento nel non aver impedito la commissione del reato, né sì potrebbe affermare che poiché il reato di aggiotaggio è stato commesso, allora è certo che il modello organizzativo è inadeguato;
  • nel caso concreto, poiché l'aggiotaggio è un delitto di comunicazione, secondo la Corte di Cassazione, l'efficacia del modello organizzativo, che deve essere approntato per impedire che i vertici di un'azienda commettano reati, si sperimenta sul piano del controllo effettivo delle informazioni;
  • tuttavia, nel caso concreto, la società aveva adottato una procedura sulla comunicazione di informazioni societarie, richiamata nel Modello organizzativo, che non prevedeva il controllo del comunicato finale, ma solo della sua bozza;
  • non sussiste allora elusione fraudolenta del modello organizzativo - presupposto necessario per l'applicazione dell'esimente - se quest'ultimo non contempla tutte le procedure comportamentali necessarie alla prevenzione del reato contestato: in questo caso concreto, la mancata regolamentazione di talune fasi del processo di redazione del comunicato-stampa, rivolto al mercato degli investitori, ha consentito ai vertici della società di manipolare il contenuto delle informazioni e di pubblicizzare il comunicato medesimo al riparo da ogni controllo interno: trattasi, pertanto, di semplice abuso di potere e non di condotta ingannevole.
  • Infatti, proprio la natura fraudolenta della condotta del soggetto apicale (persona fisica) costituisce un indice rivelatore della validità del modello, nel senso che solo una condotta fraudolenta appare idonea a forzarne le "misure di sicurezza".

Le conclusioni a cui giunge la Corte di Cassazione lasciano intendere che il Modello 231 non potrà dirsi adeguato non solo se contrastante o  disallineato con le procedure interne, ma anche se non  sia stata effettuata una valutazione sulla effettiva idoneità di quelle procedure a prevenire ed impedire la commissione del reato.  Appare quindi ancor più chiara l’esigenza di un unico sistema integrato, permeato dagli obiettivi di prevenzione dei reati, che non solo recepisca quanto già in essere nell’ente, ma sia in grado di modificarne la portata se non in linea con le esigenze 231.