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Alcune riflessioni in tema di riciclaggio. L’imprescindibile necessità di un sistema integrato

06/04/2021

L’art. 63 del D.lgs 21 novembre 2007 n. 231– in armonia con le esigenze di politica criminale – ha inteso estendere l’ambito applicativo della responsabilità da reato degli enti ai delitti di ricettazione, riciclaggio ed impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, i quali, secondo l’art. 10 comma 5 della L. 146 del 2006 (ad oggi abrogato ed interamente assorbito dalla previsione generale dell’art. 25-octies D.lgs 231/01) assumevano rilevanza penale solo ove tali delitti avessero assunto dimensione transazionale, di fatto colmando una significativa e grave lacuna dell’ordinamento italiano.

Solo con la legge n. 186/2014 è stato inserito nell’elenco dei reati presupposto della responsabilità degli enti disciplinata dal D.Lgs. n. 231/2001 anche il reato di autoriciclaggio.

La disciplina antiriciclaggio ai sensi del D.lgs 231/07 ha inteso rafforzare i meccanismi di prevenzione, i c.d. compliance programs, volti a contrastare i crescenti fenomeni criminali di riciclaggio e impiego di danaro di provenienza illecita di carattere tanto nazionale quanto internazionale, attraverso la previsione di un necessario controllo preventivo della clientela (c.d. customer due diligence), o mediante la conservazione delle tracce documentali (c.d. “paper tails”) relative all’identità della predetta clientela o ancora mediante specifici compiti di rilevazione e segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio.

La nozione di riciclaggio enunciata dal d.lgs 231/07 presenta dei profili radicalmente innovativi rispetto alla sua conformazione penalistica.

Innovazioni, tuttavia, non idonee ad influire in materia di 231, ove l’unica nozione rilevante risulta essere quella prevista dal codice penale.

Secondo la normativa del 2007, difatti, il riciclaggio si risolve nella semplice ricezione di danaro o di altra utilità con la consapevolezza della sua provenienza illecita, che nella sintassi penalistica si identifica maggiormente nella distinta figura della ricettazione tuttavia caratterizzata dal dolo specifico del “fine di trarne profitto”.

La definizione data dal decreto del 2007, inoltre, non contempla la tradizionale clausola di esclusione “fuori dei casi di concorso del reato”, operante al contrario nel sistema penale, estendendone l’applicabilità anche alle fattispecie dell’auto-riciclaggio e dell’auto-reimpiego.

Indice sintomatico tipico della condotta di money laundering (“riciclaggio di denaro”) risulta essere la c.d. “criminalità del profitto”, quale forma specifica della criminalità dolosa di impresa.

In particolare, occorrerà verificare in concreto la sussistenza di un primigenio interesse dell’ente (anche se non realizzato seppur prefigurato) ad un ingiusto arricchimento conseguente alla condotta di riciclaggio o ad un effettivo vantaggio obiettivamente conseguito per effetto della condotta criminosa.

Se l’accertamento dell’effettivo vantaggio ottenuto dall’ente appare certamente più agevole, più difficoltosa risulta l’indagine volta a provare l’interesse dell’ente all’ingiusto arricchimento che potrà essere desunto dalla verifica della potenzialità lucrativa della commissione del delitto per l’ente coinvolto da accertarsi mediante controllo di ogni singola operazione economica, nonché di eventuali anomalie di natura finanziaria nel comportamento dei soggetti coinvolti.

L’introduzione di tali reati nell’alveo della responsabilità amministrativa dell’ente, ha determinato l’esigenza di predisporre adeguati modelli di organizzazione, gestione e controllo volti a contrastare i fenomeni di money laundering anche in riferimento alle prescrizioni introdotte dalla normativa del d.lgs n. 231/07.

Sul piano funzionale, difatti, il d.lgs n. 231/01 e il d.lgs n. 231/07 non appaiono coincidere.

Mentre il d.lgs n. 231 del 2007 è volto ad evitare che un soggetto, quale intermediario, possa essere inconsapevolmente coinvolto nella realizzazione di condotte di money laundering, il d.lgs n. 231/01 mira ad evitare che un ente possa prestarsi ad essere strumento per realizzare operazioni di reimpiego di capitali di provenienza delittuosa.

Da un lato, quindi, la normativa antiriciclaggio del 2007 è tesa a prevenire la realizzazione di condotte criminose poste in essere da terzi esterni alla società, dall’altro i sistemi del MOG sono volti a evitare reati commessi nell’interesse e vantaggio dell’ente da parte di soggetti inseriti nell’organigramma dello stesso.

È evidente come, allo stato attuale, appaia imprescindibile per la società adottare un sistema integrato che sappia coniugare esigenze diverse, senza “appesantire” l’ente di nuove procedure, ove le esistenti appaiono in linea con gli obiettivi di prevenzione da reato.