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Accreditamento e accordi contrattuali, quando le clausole oltrepassano il limite di liceità

16/10/2025

CGA Sicilia, sez. giurisdizionale, 01/08/2025, nr. 650

Come noto, nel sistema di convenzionamento delle strutture sanitarie private accreditate con il Servizio Sanitario Regionale (SSR), il rapporto tra Pubblica Amministrazione e strutture che erogano in nome e per conto del servizio pubblico è possibile solo se regolato dalla stipula di un successivo contratto. Sul punto, le normative regionali possono approvare e adottare schemi contrattuali standardizzati, con lo scopo di uniformare condizioni e obblighi per tutti gli operatori privati che agiscono come longa manu del servizio sanitario pubblico.

In alcuni casi, tuttavia, la standardizzazione può incidere sulla possibilità di negoziazione a livello privatistico delle condizioni contrattuali, talvolta mascherando clausole che possono generare un forte squilibrio tra le parti coinvolte (la PA e il privato).

È ciò che è avvenuto in Sicilia, con il Decreto Assessoriale 30.06.2021, oggetto di una vicenda giudiziaria esitata con la recente decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) per la Regione Siciliana n. 650/2025.

Senza voler entrare nei tecnicismi affrontati dalla CGA nell’ambito del giudizio in esame ed in relazione alle singole disposizioni impugnate del Decreto Assessoriale impugnato, basti focalizzare l’attenzione su due principali temi affrontati nella decisione assunta:

  • da un lato, la valutazione sulla congruità economica delle tariffe applicate alle prestazioni in regime di convenzionamento, quindi l’apporto economico della PA all’erogazione delle prestazioni della ricorrente struttura sanitaria privata accreditata e convenzionata;
  • dall’altro lato, la valutazione di liceità della c.d. “clausola di salvaguardia” presente all’interno dello schema di contratto adottato con il Decreto impugnato.

Congruità economica delle tariffe

Sotto il primo profilo, il ricorrente lamentava il fatto che, nella determinazione del quantum a lui spettante in forza della convenzione, fossero state applicate delle tariffe vigenti all’anno 2014 e non anche tariffe aggiornate al periodo di interesse (anni 2022 e 2023).

Sul punto, la CGA precisava che per poter lamentare l’inadeguatezza del rapporto economico intercorrente con la PA in un settore delicato, quale quello sanitario, occorre dimostrare di avere un interesse meritevole di tutela che tenga conto non solo dell’utilità pratica della ricorrente ma soprattutto delle esigenze pubblicistiche coinvolte nel rapporto e che costituiscono, queste ultime, motivo dell’esistenza del rapporto stesso.

Nel caso di specie, gli interessi vantati dal ricorrente sarebbero di natura squisitamente economica, finalizzati all’ottenimento di un utile di impresa che, ragionevolmente, non può prevalere rispetto all’esigenza pubblicistica sottesa alla collaborazione tra la PA e gli operatori privati. In particolare, l’esigenza meritevole di tutela attiene alla compartecipazione ad un sistema finalizzato al miglioramento e cura della salute pubblica, quale espressione di diritti costituzionalmente garantiti.

Ciò in concreto significa che il privato non possa avanzare rivendicazioni economiche a proprio esclusivo vantaggio, poiché necessariamente incidenti sul tetto di spesa sanitaria, quale vincolo ineludibile per il funzionamento del servizio sanitario pubblico e quale sistema preordinato a soddisfare l’esigenza di assicurare al cittadino la più ampia gamma di prestazioni sanitarie al più alto standard qualitativo possibile. Ne deriva che la tutela dell’interesse economico del privato, in un’ottica di bilanciamento di interessi costituzionalmente orientato, risulta meritevole solo quando sia compatibile con la salvaguardia della sostenibilità economico-finanziaria del servizio sanitario pubblico.

Tali ragioni conducevano la CGA a rigettare il ricorso su tale aspetto.

“Clausola di salvaguardia”

Rispetto al secondo punto di attenzione della sentenza in commento, il Decreto Assessoriale oggetto del contenzioso approvava uno schema contrattuale contenente, all’art. 12, una clausola con la quale la struttura convenzionata avrebbe, successivamente alla firma, dovuto rinunciare a qualsiasi azione o impugnazione già intrapresa, nonché ai contenziosi instaurabili avverso i provvedimenti di determinazione delle tariffe e quelli ad essi collegati.

Di tale clausola ne veniva contestata l’illegittimità da parte della struttura ricorrente.

La CGA, analizzando dettagliatamente la natura della clausola, chiariva che:

  • la clausola conteneva una rinuncia preventiva e generalizzata del privato convenzionato al contenzioso con l’amministrazione, anche rispetto ad atti non noti. L’inserimento della stessa clausola all’interno di uno schema contrattuale approvato con atto normativo renderebbe, poi, la clausola non un semplice patto tra privati, ma una condizione imprescindibile imposta dalla PA per accedere al sistema convenzionale, acquisendo dunque rilievo pubblico;
  • andava poi chiarito se alla clausola potesse applicarsi la disciplina del codice civile in materia di clausole vessatorie (art. 1341 c.c., che prevede l’accettazione mediante doppia sottoscrizione) e in materia di contratti conclusi mediante formulari (art. 1342 c.c.). Invero, la disciplina codicistica citata non sarebbe pienamente applicabile, in quanto la clausola discussa non costituisce un semplice elemento contrattuale negoziabile (come nei contratti tra privati) ma assurgerebbe ad atto di natura pubblicistica, stante l’imposizione della stessa a tutte le strutture convenzionabili con il SSR;
  • inoltre, la clausola conteneva la rinuncia ad esercitare il diritto di agire in giudizio rientra nel novero delle garanzie costituzionali che non può essere inibito ex ante. L’ammissibilità di tale clausola, invero, avrebbe conseguenze non solo sull’esercizio del diritto in sé (già censurabile o quanto meno di dubbia legittimità), ma altresì escluderebbe a priori il potere riservato al giudice circa la valutazione di ammissibilità delle azioni giudiziarie. E ancora, la rinuncia ad un diritto indisponibile inciderebbe poi sulla possibilità di rilevare la nullità del contratto contenente la clausola che contrae tale diritto indisponibile. Ciò in quanto la rinuncia a qualsiasi contenzioso futuro inciderebbe anche sulla (non) possibilità di agire in giudizio per cause derivanti dal contratto, impedendo al giudice di rilevare d’ufficio la nullità del contratto e/o delle clausole ivi contenute. Dunque, si manifesterebbe non solo una contrazione del diritto individuale del privato ma altresì una contrazione del potere riservato al giudice.
    Sulla base di tali elementi la CGA chiariva che al legittimo esercizio del potere discrezionale la determinazione dei tetti di spesa (sulla base di scelte di programmazione e bilancio) non corrisponde il potere dell’amministrazione di comprimere un diritto indisponibile (limitando a priori l’esercizio del diritto di difesa), manifestatosi in concreto con la clausola impugnata.
    Da ciò derivava che l’imposizione di una siffatta rinuncia configurasse un eccesso di potere amministrativo poiché la rinuncia a ricorrere (quindi a un diritto indisponibile) determini condizione essenziale per l’accesso al convenzionamento, così alterando i principi di trasparenza e correttezza della attività amministrativa, la cui scelta immotivata prevarrebbe inesorabilmente su diritti costituzionalmente protetti.

Per tali ragioni, la CGA concludeva con l’annullamento parziale dello schema contrattuale, limitatamente alla clausola di salvaguardia.

La vicenda in commento porta con sé il peso di dover riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato nell’ambito della collaborazione alla migliore realizzazione del servizio sanitario pubblico, costantemente messo alla prova da tentativi di sviamento dal primario interesse al diritto alla salute.
Se infatti da un lato i privati sono tenuti ad accettare il rischio di non conseguire un vantaggio economico nella collaborazione con il pubblico, seppur contribuendo alla realizzazione del miglior servizio sanitario possibile per il cittadino; dall’altro lato non è ragionevolmente possibile pretendere una completa e silenziosa accettazione delle condizioni dell’amministrazioni che, talvolta e come si è visto, possono (ma non devono) oltrepassare il limite di tutela di altrettanto meritevoli diritti costituzionali.