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Accreditamento sanitario e verifica del fabbisogno: la (perfetta) posizione del T.A.R. Lazio tra libera concorrenza e qualità dell’offerta sanitaria
Con la sentenza in commento, i Giudici capitolini hanno stabilito che negare l’accreditamento per una mera carenza di funzionalità al fabbisogno, tenuto conto della sola distribuzione territoriale dell’offerta e dei vincoli di budget da parte delle ASL, sia illegittimo.
Il T.A.R. Lazio, guardando all’importanza di aprire il mercato sanitario e alla necessità di accertare la qualità dell’offerta assistenziale, ha rilevato che:
- la verifica di funzionalità al “fabbisogno di assistenza” richiesta per ottenere l’accreditamento deve essere interpretata in una prospettiva di efficienza e di migliore allocazione delle risorse pubbliche disponibili
- e, quindi, il fabbisogno non deve essere inteso (e applicato) come un limite quantitativo rigido, ma come un criterio qualitativo per migliorare l’offerta sanitaria, allargando il mercato alla competizione tra i soggetti più meritevoli.
Per comprendere il percorso argomentativo dei Giudici, è opportuno ripercorrere brevemente gli elementi fattuali che hanno contraddistinto la vicenda giudiziaria.
Una società, titolare di un centro riabilitativo per persone in età evolutiva, presentava alla Regione Lazio istanza di accreditamento sanitario. Tale istanza veniva rigettata, dal momento che l’ASL territorialmente competente durante le verifiche istruttorie rilevava
“un valore di prossimità che non esprime carenze di funzionalità rispetto al fabbisogno tenuto conto dei bisogni di salute della popolazione, della distribuzione territoriale dell’offerta e tenuto anche conto dei vincoli economici che attualmente non assicurano nemmeno la assegnazione dei budget agli attuali erogatori contrattualizzati secondo la loro completa capacità produttiva”.
La società impugnava così il provvedimento di diniego per violazione delle disposizioni nazionali e regionali in materia di accreditamento sanitario e per violazione degli artt. 32 e 41 della Costituzione dedicati, rispettivamente, alla tutela della salute e alla libera iniziativa economica.
In particolare, la società ricorrente lamentava come il parere dell’ASL fosse meramente formale senza riferimenti al piano sanitario regionale, né alla concreta situazione locale, quali liste d'attesa ed esigenze della popolazione.
Nelle more del giudizio instauratosi contro la Regione Lazio e l’ASL, la Società otteneva l’accreditamento, a seguito di nuova istanza presentata. Tuttavia, a causa del ritardo subito e dei costi e dei danni sopportati a causa di ciò, la Società insisteva per l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento impugnato a fini risarcitori.
Il T.A.R. Lazio chiamato dunque a dirimere la questione, ribadendo le regole “base” dell’accreditamento sanitario e definendo la posizione che assume il soggetto accreditato, ha offerto una chiave di lettura della verifica di fabbisogno incentrata sull’importanza di una valutazione dell’Amministrazione effettiva e concreta e sulla necessità di una (conseguente) maggiore competitività tra i soggetti erogatori (o aspiranti tali) a favore di una migliore qualità delle cure.
Come noto, il sistema dell’accreditamento è scandito dai seguenti sub-procedimenti:
- autorizzazione, subordinata alla verifica del fabbisogno (ex artt. 8-bis e 8-ter, D.Lgs. n.502/92);
- accreditamento, subordinato alla verifica del fabbisogno (ex art. 8-quater, D.Lgs. n. 502/92);
- fissazione del limite delle prestazioni annuali acquistate da parte della regione, cioè il “budget” per singola struttura accreditata (art. 32, co. 8, L. n. 449/97);
- sottoscrizione del contratto annuale di fornitura delle prestazioni (ex art. 8-quinquies, D.Lgs. n.502/92).
E quindi, hanno precisato i Giudici, “senza accreditamento non ricorrono i presupposti necessari per poter contrarre con l’Amministrazione sanitaria e senza verifica positiva del fabbisogno non è possibile ottenere l’accreditamento”.
Non solo. Il Collegio ha rilevato che
“l'accreditamento attribuisce al suo titolare una posizione concorrenziale di plusvalore rispetto agli altri operatori privati - definita dall'art. 8 quater D. Lgs. n.502/1992 come “qualità di soggetto accreditato” - e dunque con il principio, da applicare anche in questa materia, per cui il mero, reiterato rinnovo dell'accreditamento finisce con il rappresentare il consolidamento della stessa posizione di plusvalore concorrenziale a scapito della necessaria verifica, periodica e trasparente, della eventuale maggiore efficienza e qualità di soggetti aspiranti, alla luce della necessità che l'offerta sanitaria sia costantemente verificata, aggiornata e rinnovata” (in tal senso, da ultimo C. di St. n. 1043/2021).
Ciò significa che il fabbisogno, la cui verifica funzionale è richiesta ai nuovi operatori,
“non può rappresentare un rigido limite di tipo quantitativo e di contingentamento, ma soprattutto qualitativo e funzionale per l’accertamento delle qualità dell’offerta assistenziale dei newcomers: una volta che si è fatta la scelta di avvalersi della sussidiarietà orizzontale per alcuni settori e pertanto di migliorare l’offerta assistenziale in quei settori, il mercato deve poi restare periodicamente aperto alla selezione dei migliori, alla verifica dei soggetti già accreditati, e all’ingresso di chi dimostri superiori qualità.”
Inoltre, il blocco dei nuovi accreditamenti non può essere giustificato nemmeno in virtù di contenimento della spesa sanitaria, come avvenuto nel caso in esame. L’accreditamento, infatti, hanno specificato i Giudici, non determina un automatico aumento della spesa pubblica, dal momento che l’obbligo per le Aziende Sanitarie di remunerare le prestazioni sorge esclusivamente nei limiti dei tetti di spesa stabiliti contrattualmente (ex art. 8-quinquies, D.Lgs. n.502/92).
Per evitare quindi ingiustificate restrizioni all’offerta sanitaria e pregiudicare la qualità della stessa, secondo il Collegio giudicante, è necessario verificare il fabbisogno effettivo di assistenza per le attività specialistiche richieste, basandosi su dati oggettivi, verificabili in sede giudiziale, “come la composizione della popolazione, l’entità della domanda di prestazioni, le strutture presenti sul territorio, l’effettiva capacità delle stesse di far fronte alle domande, da cui dovrebbe desumere il reale fabbisogno di assistenza per le attività specialistiche offerte dalla struttura richiedente”, soprattutto in un contesto di emergenza sanitaria perdurante da anni.
In mancanza dello svolgimento della predetta attività istruttoria, nonché dell’indicazione di tali dati, il provvedimento di diniego dell’accreditamento, come quello impugnato nella vicenda in esame, risulta viziato per difetto di istruttoria e di motivazione.
La pronuncia in esame ha il merito di chiarire come un sistema sanitario realmente ispirato ai principi concorrenziali possa elevare una maggiore qualità dell’offerta sanitaria, favorendo l’accesso e la permanenza nel mercato sanitario dei soli soggetti, “vecchi e nuovi”, realmente meritevoli di erogare cure per conto del Servizio Sanitario Pubblico.