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231 e Sanità. Chi sono i destinatari della disciplina 231?
Mai come nell’ultimo biennio la Sanità ha avuto un ruolo così centrale nell’ambito socio- economico. L’emergenza pandemica e l’invasione dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario hanno imposto di rivedere i concetti di prevenzione del rischio, anche in sede penale.
L’adozione di un efficace Modello 231 è divenuto sinonimo di auto-responsabilizzazione in un’ottica reputazionale che non può prescindere dal primario interesse di tutela del diritto alla salute e di prevenzione del rischio da reato.
Ma a chi si applica il decreto legislativo 231 in Sanità?
Il fulcro della questione si rinviene nell’art. 1 del decreto che stabilisce
- "Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.
- Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica.
- Non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.”
Emerge chiaramente che il D.Lgs. 231/2001 si applica a tutti soggetti privati del comparto sanità in quanto inevitabilmente inclusi nelle definizioni di enti forniti di personalità giuridica/società e associazioni anche prive di personalità giuridica (fra questi: case di cura, cliniche private, società che gestiscono strutture ospedaliere, ecc..).
A ciò si aggiunga che, in alcune Regioni, l’adozione del MOG è individuata quale condizione imprescindibile per le strutture che richiedano l’accreditamento da parte del Sistema Sanitario Nazionale.
Le problematiche applicative affiorano nella disciplina relativa agli enti pubblici.
La natura pubblicistica di un ente è condizione sufficiente per esentare l’ente dalla disciplina 231?
La Suprema Corte, già con la sentenza n. 28699/2010, ha chiarito che “il tenore testuale della norma è inequivocabile nel senso che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esonero dalla disciplina in discorso, dovendo altresì concorrere la condizione che l’ente medesimo non svolga attività economica. [..] Ogni società, proprio in quanto tale, è costituita pur sempre per l’esercizio di un’attività economica al fine di dividerne gli utili [..]”.
Partiamo dalle Aziende Sanitarie Locali.
Ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 502/1992, le ASL sono qualificabili come enti pubblici operanti secondo le norme del diritto privato ed agiscono con il principio del pareggio di bilancio. Pertanto, tali enti non hanno finalità lucrative e devono ritenersi per la dottrina esclusi dall’ambito applicativo della 231.
Pur tuttavia, in ambito regionale, la tendenza è di recepire la disciplina 231 in un’ottica di prevenzione da reato, anche quale ulteriore garanzia della migliore organizzazione e trasparenza della PA.
Così, ad esempio, la Regione Lombardia che ha inteso mutuare i principi 231 ai fini dell’introduzione del Codice Etico e dell’implementazione del Modello Organizzativo nelle Aziende Sanitarie Locali ed Ospedaliere, ha formulato delle linee guida per l’analisi del rischio, l’elaborazione dei modelli e del codice etico.
Quanto invece alle società a partecipazione mista di capitale pubblico e privato?
Sul punto, la Cassazione ha chiaramente statuito che fra gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale non sono annoverate le strutture sanitarie (Cass. Pen. 28699/2010), le quali pertanto non potranno mai addurre la loro rilevanza costituzionale quale motivo di esclusione dall’applicazione del D.Lgs. 231/2001. Ma ciò che senza dubbio rileva è che tali società – al di là della natura pubblicistica o privata che ad esse si voglia attribuire – svolgono attività con finalità di lucro, con conseguente applicazione della 231.