Cons. Stato, sez. III, 16/06/2025, nr. 5214
Con la sentenza n. 5214/2025, la Terza Sezione del Consiglio di Stato ha affrontato una questione di rilevante interesse per chi opera in sanità: il rapporto tra rilascio di autorizzazioni per strutture sanitarie private e programmazione regionale.
Sebbene il caso specifico riguardi il settore odontoiatrico, i principi enunciati dal supremo giudice amministrativo hanno portata generale e si applicano a tutti i settori dell'assistenza sanitaria, delineando un equilibrio tra le esigenze di programmazione pubblica e la libertà di iniziativa economica privata.
La pronuncia assume particolare rilevanza in un momento storico in cui il sistema sanitario nazionale si trova ad affrontare sfide complesse, tra cui l'invecchiamento della popolazione, l'aumento della domanda di servizi sanitari e la necessità di contenere la spesa pubblica, mantenendo al contempo elevati standard qualitativi nell'erogazione delle prestazioni.
I fatti e l'iter giurisdizionale
La vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte dell'A.I.O.C. - F.I.S.S.N. (Associazione Italiana Odontostomatologia Contrattualizzata Fondo Integrativo del Servizio Sanitario Nazionale), di due provvedimenti amministrativi: la determinazione del Comune di Fermo n. 425 del 31 agosto 2021, che autorizzava la realizzazione di una struttura sanitaria odontoiatrica denominata "Dental Pro", e la successiva determinazione n. 194 del 5 aprile 2022, che ne autorizzava l'esercizio.
L'associazione ricorrente aveva contestato, tra l'altro, la presunta incompatibilità urbanistica della struttura con la destinazione d'uso della zona (D3 - Tessuto produttivo anziché A.S.A. - Aree per Attrezzature Socio Assistenziali), la carenza di requisiti in capo al soggetto autorizzato e, aspetto centrale per la presente analisi, l'omessa valutazione di compatibilità della struttura con la programmazione sanitaria regionale.
Il TAR Marche, con sentenza n. 85 del 26 gennaio 2024, aveva respinto integralmente i ricorsi, ritenendo infondate tutte le censure sollevate. In particolare, sulla questione della programmazione sanitaria, il tribunale amministrativo aveva osservato che la Regione Marche non aveva ancora definito il fabbisogno complessivo di strutture e servizi previsto dalla normativa regionale, ma che tale circostanza non poteva paralizzare sine die la realizzazione di nuove strutture sanitarie, essendo stata comunque effettuata la verifica di congruità del progetto.
Il Consiglio di Stato, adito in appello dall'associazione ricorrente, ha confermato integralmente la decisione di primo grado, respingendo tutti i motivi di gravame e fornendo importanti chiarimenti sui rapporti tra autorizzazione e programmazione sanitaria.
La sentenza merita di essere approfondita proprio in relazione a tale ultimo aspetto.
Il rapporto tra autorizzazione e programmazione: principi e bilanciamenti
Il quadro normativo di riferimento
La questione del rapporto tra autorizzazione e programmazione sanitaria si inquadra nel complesso sistema normativo delineato dal decreto legislativo n. 502/1992 e successive modificazioni, nonché dalle leggi regionali di settore.
L'art. 8-ter del d.lgs. n. 229/1999 stabilisce che le Regioni, nell'ambito della propria programmazione, valutano la compatibilità dei progetti di nuove strutture sanitarie con il fabbisogno complessivo di assistenza, tenendo conto delle strutture presenti in ambito regionale e dei parametri di accessibilità ai servizi.
Nel caso specifico delle Marche, la legge regionale n. 21/2016 prevede all'art. 3, comma 1, lett. a), che la Giunta Regionale definisca "sulla base del piano socio-sanitario, il fabbisogno complessivo di strutture e servizi e la localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale".
La regione Marche (come altre regioni) al momento non ha ancora assunto questo atto.
La posizione del Consiglio di Stato: programmazione e libertà di iniziativa economica
Il Consiglio di Stato, nel confermare l'orientamento del TAR, ha chiarito che l'assenza di un atto di programmazione regionale non può tradursi in una preclusione assoluta all'ingresso di nuovi operatori nel settore sanitario, specialmente quando questi non aspirino al conseguimento dell'accreditamento con il servizio sanitario regionale.
La Suprema Corte amministrativa ha richiamato l’ orientamento giurisprudenziale (Cons. Stato, Sez. III, n. 34879/2015) secondo cui "l'art. 8-ter del d.lgs. n. 502 del 1992 non subordina il rilascio del titolo autorizzatorio all'esistenza di uno strumento pianificatorio generale, ma ad una valutazione dell'idoneità della nuova struttura a soddisfare il fabbisogno complessivo di assistenza".
Tale valutazione infatti può essere condotta "in relazione alle singole fattispecie", anche in assenza di una programmazione generale.
Il bilanciamento costituzionale
Particolarmente significativo è il richiamo operato dalla sentenza ai principi costituzionali che governano la materia.
Il Consiglio di Stato ha sottolineato come "la regola di principio stabilita dall'art. 8-ter non può risolversi - alla luce dell'art. 32 della Costituzione, che eleva la tutela della salute a diritto fondamentale dell'individuo, e dell'art. 41, teso a garantire la libertà di iniziativa di impresa - in uno strumento ablatorio delle prerogative dei soggetti che intendano offrire, in regime privatistico, mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza sul territorio".
Questo bilanciamento assume particolare rilievo quando si considerino strutture che operano esclusivamente con corrispettivi a carico degli utenti, senza alcun rimborso o sovvenzione pubblica. In tali casi, le esigenze di contenimento della spesa sanitaria pubblica e di programmazione dell'offerta hanno un peso specifico diverso rispetto alle strutture accreditate.
Le implicazioni in tema di concorrenza
La pronuncia tocca anche aspetti rilevanti sotto il profilo della tutela della concorrenza.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato come "una politica di contenimento dell'offerta sanitaria non può tradursi in una posizione di privilegio degli operatori del settore già presenti nel mercato, che possono incrementare la loro offerta a discapito dei nuovi entranti, assorbendo la potenzialità della domanda".
Questo principio si inserisce nel più ampio quadro delle politiche europee e nazionali di liberalizzazione dei servizi e di tutela della concorrenza. La giurisprudenza ha chiarito che le valutazioni inerenti al contenimento della spesa pubblica trovano la loro sede propria nei procedimenti di accreditamento, nella fissazione dei "tetti di spesa" e nella stipulazione dei contratti con i soggetti accreditati, non già nel rilascio delle autorizzazioni all'esercizio di attività sanitarie private.
Considerazioni conclusive e prospettive applicative
La sentenza in commento fornisce importanti indicazioni operative per le amministrazioni sanitarie regionali e per gli operatori del settore. Da un lato, conferma che l'assenza di strumenti di programmazione generale non può paralizzare l'iniziativa economica privata nel settore sanitario; dall'altro, ribadisce la necessità di una valutazione caso per caso che tenga conto delle specificità territoriali e del fabbisogno di assistenza.
I principi enunciati dal Consiglio di Stato trovano applicazione non solo nel settore odontoiatrico, ma in tutti i comparti dell'assistenza sanitaria privata, dalla diagnostica per immagini ai laboratori di analisi, dalle strutture riabilitative a quelle di medicina estetica. In tutti questi ambiti, le Regioni dovranno bilanciare le esigenze di programmazione e controllo dell'offerta con il rispetto della libertà di iniziativa economica e della concorrenza.
La pronuncia assume particolare rilievo anche nel contesto post-pandemico, caratterizzato da una crescente domanda di prestazioni sanitarie private e da una maggiore attenzione alla diversificazione dell'offerta sanitaria territoriale. Le amministrazioni regionali sono così chiamate a sviluppare approcci valutativi che, pur in assenza di piani generali, siano in grado di garantire un controllo effettivo sulla qualità e sull'appropriatezza delle nuove strutture, senza creare indebite barriere all'ingresso nel mercato.