Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?

Registrati per accedere ai contenuti riservati e iscriverti alla nostra newsletter

La revisione dei prezzi nei contratti di beni e servizi, focus di approfondimento

14/07/2022

I tragici eventi che si sono susseguiti negli ultimi anni, prima la pandemia di Codiv-19 e poi lo scoppio della guerra Russia-Ucraina, hanno determinato un aumento dei costi delle materie prime, dell’energia, del carburante, dei trasporti, tale da ingenerare, in capo a tutti gli operatori economici che hanno sottoscritto contratti “di durata”, ovvero quei contratti le cui prestazioni si sviluppano nel tempo, l’esigenza di rinegoziazione delle condizioni pattizie allo scopo di riallineare le prestazioni economiche all’intervenuto aumento dei costi.

Nei contratti pubblici, tuttavia, nessuna modifica della prestazione economica (che grava principalmente sulle PP.AA.) è ritenuta possibile, in quanto ciò incide sull’equilibrio di bilancio pubblico, violando le norme ed i principi di contabilità dello Stato.

Se quindi nei rapporti fra privati è ammissibile, nel corso della durata del contratto, richiedere modifiche alle condizioni economiche fino a giungere, in caso di disaccordo, all’eventuale risoluzione contrattuale, in un contratto pubblico ciò non è consentito se non in alcuni particolarissimi casi, ovvero se nel contratto è presente una clausola revisionale oppure nelle ipotesi espressamente previste per legge.

Mentre nel precedente Codice dei contratti pubblici (D.Lgs.n. 163/2006) era contenuta un’apposita norma secondo cui “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo” (art. 115), il Legislatore del vigente Codice (D.Lgs.n. 50/2016) ha compiuto una scelta diversa, fissando in un unico articolo (art. 106) le possibili modifiche che possono intervenire (di durata, di variazione della prestazione e controprestazione economica ecc.) nel corso di un rapporto convenzionale.

Vediamo dunque quali sono le condizioni “di legge” per poter apportare eventuali adeguamenti alle condizioni economiche pattizie. 

L’art. 106 D.Lgs. n. 50/2016 

Come detto il contratto d’appalto pubblico è generalmente sottoposto ad un divieto di modifiche soggettive ed oggettive (sia per ragioni di contabilità della Stato che per la natura stessa dell’obbligazione contrattuale), ma l’art. 72 della Dir 204/24/UE ha introdotto, per la prima volta, una disciplina unitaria che raggruppa tutte le norme riguardanti le effettive possibili modifiche al dettato contrattuale nella sua fase esecutiva.

L’art. 106 del Codice appalti individua così le varie ipotesi e modalità con cui debbono attuarsi tali modifiche, che possono in concreto comportare un aumento/diminuzione del prezzo inizialmente convenuto, della quantità delle prestazioni nonché della durata del contratto.

La stessa disposizione distingue innanzitutto tra le ipotesi di «modifica» da quelle di «variante» al contratto; le varianti sono dettate esclusivamente da “circostanze impreviste o imprevedibili”, mentre, in tutti gli altri casi, è corretto parlare di modifiche al contratto.

La prima tipologia affrontata (comma 1, lett. a) è quella dell’eventuale inserimento di una clausola di possibile modifica (fra cui è ricompresa anche quella di revisione-prezzi), la cui caratteristica risiede nel fatto che, essendo previamente inserita nel contratto, non ne altera la natura stessa.

Tuttavia, la revisione pattiziamente prevista segue logiche differenti a seconda che si riferisca ad appalti di lavori o di servizi/forniture; nel primo caso, infatti, dette variazioni possono essere valutate sulla base dei Prezzari di cui all'art, 23, comma 7, ma solo per l'eccedenza del 10% rispetto al prezzo originario e, comunque, in misura pari alla metà della variazione, secondo Prezzari predisposti dalle Regioni di concerto con il Ministero Infrastrutture.

Per quanto concerne invece i contratti di servizi o forniture, l’unico intervento legislativo assunto riguarda gli accordi-quadro aggiudicati dai Soggetti aggregatori in cui è stabilito che, al verificarsi di un aumento o diminuzione dei prezzi non inferiore al 10%, l'appaltatore ha facoltà di richiedere una revisione del prezzo, con l’ulteriore possibilità di recesso o risoluzione consensuale senza obbligo di alcun indennizzo (art. 1, comma 511, L.n. 208/2015).

Gli altri commi dell’art. 106 non riguardano specificamente l’istituto della revisione (ma nemmeno l’ “escludono”), affrontando il tema dei lavori/forniture/servizi supplementari (lett. b) – in cui, ad un aumento della prestazione dell’appaltatore, deve corrispondere anche una diversa controprestazione economica della P.A. – o il verificarsi di “circostanze impreviste ed imprevedibili” (lett. c) – parlando in tal caso delle cd. ‘varianti’ ammissibili, purché non alterino “la natura generale del contratto” sotteso – oppure di modifica soggettiva dell’esecutore (lett. d).

Il comma 2° dell’art. 106 prevede poi la possibilità d’apportare modifiche ai contratti tutte le volte in cui il valore di detta modifica sia inferiore alla soglia comunitaria (relativa al settore di gara), oltre che il suo valore sia al di sotto del 10% di quello dell’appalto stesso.

Dal punto di vista “quantitativo”, invece, è considerata sostanziale la modifica che “cambia l’equilibrio economico del contratto” oppure che, se fosse stata prevista fin dall’inizio, avrebbe consentito la partecipazione anche di altri concorrenti (comma 4°).  

Principio generale è infine quello secondo cui la modifica non ecceda il 50% del valore del contratto iniziale – dovendo in caso contrario esperire una nuova gara (comma 7°) - così come prevista una franchigia del 1/5 del valore iniziale d’aumento contrattuale, tale per cui l’appaltatore è obbligato ad accettarla alle medesime condizioni iniziali (comma 12°).

La normativa emergenziale

L’aumento eccezionale dei costi ha tuttavia spinto il Governo ad intervenire per cercare di garantire la “tenuta” del mercato dei contratti pubblici, ma detti interventi si sono purtroppo registrati solo relativamente ai lavori pubblici, lasciando quindi i contratti di beni e servizi del tutto privi di copertura emergenziale.

  • Così il D.L.n. 73/2021 (cd. «Sostegni bis») conv. L.n. 106/2021 ha disposto, per i lavori pubblici eseguiti e contabilizzati nel I° e II° semestre 2021 nonché nel I° semestre 2022, una variazione del prezzo, in aumento o diminuzione, superiore all’8%, ma solo se le dette variazioni hanno interessato i “materiali da costruzione più significativi” (art. 1 septies); il rilevamento degli aumenti avviene prendendo a riferimento i Decreti emessi dal MIMS (Ministero Infrastrutture e Mobilità Sostenibili) che, sulla base delle elaborazioni ISTAT, determinano le variazioni percentuali.
    Per il rilevamento degli aumenti del I° semestre 2021 è intervenuto il D.M. 11/11/2021, per il II° semestre 2021 il D.M. 4/4/2022 ed entro il 30/9/2022 dovrebbe essere pubblicato il D.M relativo al I° semestre 2022.
  • Con il D.L. n. 4/2022 (cd. «Sostegni ter» ) conv. L.n. 25/2022, la soglia della variazione percentuale è stata abbassata dall’8% al 5% (oltre cui poter richiedere la revisione), salvo riconoscere la possibilità di compensazione nella misura massima dell’80% dell’eccedenza. L’art. 29 prevede tuttavia l’obbligo di inserire, nei documenti di gara di tutte le procedure indette a far data dal 27/1/2022, le clausole di revisione del prezzo previste dall’art. 106 comma 1, lett. a) e, dunque, anche per gli appalti di beni e servizi.
  • Infine, con il D.L.n. 50/2022 (cd. “Decreto Aiuti”) ancora da convertire, si sono riconosciuti gli aumenti sostenuti dall’appaltatore per la totalità dei costi connessi allo svolgimento dell’appalto (ma solo di lavori pubblici) ed il parametro di riferimento per il riconoscimento dei maggiori oneri non sono i D.M. del MIMS bensì i Prezziari regionali di cui all’art. 23, comma 16 D.lgs. 50/2016 (art. 26).

Sul piano temporale, dunque, le discipline hanno introdotto un meccanismo revisionale che NON interviene subito (a compensare l’aumento dei prezzi già intervenuto da mesi) ma rinvia a dopo la pubblicazione dei Decreti Ministeriali - e dunque “a valle” dell’esecuzione delle opere - mentre, sotto il profilo economico, detti Decreti Ministeriali registrano solo gli aumenti del costo dei “materiali da costruzione” - senza quindi tener conto del vertiginoso aumento dei costi energetici e dei carburanti – e comunque applicabile sempre (e solo) per gli appalti di lavori e  non, anche, a quelli di beni e servizi.

La giurisprudenza al riguardo

L’istituto della revisione NON può prefiggersi lo scopo d’azzerare il rischio di impresa, in quanto  l’alea tipica della tipologia contrattuale sottoscritta dev’essere in capo al privato contraente; in ogni caso, per la sua applicazione, non bisogna guardare al maggior costo sostenuto (rispetto all’offerta iniziale) quanto piuttosto alla presenza (o meno) di circostanze imprevedibili che ne hanno determinato l’aumento (TAR Milano n. 435/2021 – Cons. St. n. 1980/2019).

Mentre poi il vecchio Codice (D.Lgs 163/2006) prevedeva il prezzo chiuso, la possibile deroga in circostanze eccezionali nonchè la revisione periodica del prezzo, con l’esclusione circa l’applicazione dei cd. “rimedi civilistici” (art. 1664), il D.Lgs.n. 50/2016 dispone al contrario la discrezionalità della P.A. nell’inserimento della clausola negli atti di gara nonché l’utilizzo dei rimedi civilistici prevedendo proprio, in caso di sua mancanza, l’applicazione dell’art. 1664 Cod.Civ. (Cass. Civ. n. 5267/2018) oltre che anche del rimedio ex art. 1467 Cod.Civ. (TAR Brescia n. 239/2022).

In ogni caso, nel momento in cui l’appaltatore formula la richiesta revisionale e la P.A. la accoglie, la medesima deve a quel punto procedere a svolgere un’istruttoria secondo una regola mutuabile dall’art. 115 del vecchio Codice appalti (rif. Cass. Civ. 24096/2018) ma, qualora detto subprocedimento dovesse avere esito negativo, si pone il problema della cd. “giurisdizione” ovvero avanti a quale giudice presentare la causa.

Sarà infatti applicabile la giurisdizione ordinaria se il contenzioso riguarda l’espletamento di una prestazione prevista in contratto, che dispone sia detta prestazione che il suo ammontare, mentre se si contesta la mancata concessione discrezionale della revisione ovvero il rigetto all’esito dell’istruttoria, ciò allora comporta la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass. Civ. SS.UU. Ordinanza del 8/2/2022).

In una recente pronuncia il TAR Napoli (16/6/2022 n. 4095) stabilisce infine che il giudice amministrativo non solo non può sostituirsi alla Amministrazione nello svolgimento di un’istruttoria ma che, in ogni caso, grava sull’appaltatore richiedente la revisione l’onere di provare tanto la sopravvenienza di circostanze imprevedibili quanto l’aumentare dei costi di conseguenza intervenuto.

Considerazioni finali

L’istituto della revisione prezzi ha la finalità, da una parte, di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni a favore delle PP.AA. non siano esposte, nel tempo, al rischio di una diminuzione qualitativa a causa dell’eccessiva onerosità sopravvenuta e della conseguente incapacità del contraente di farvi compiutamente fronte, nonché, dall’altra, di tutelare l’interesse dell’operatore economico a non subìre un’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente all’aumento imprevedibile dei costi tali da indurlo, durante la durata contrattuale, ad una possibile riduzione degli standards qualitativi delle prestazioni erogate (Cons.St. 16/06/2020 n. 3873).

La normativa pubblicistica enuclea, come visto, tutte le possibili ‘modifiche’ dei contratti (art. 106) tra cui individua, al comma 1, lett. c), anche l’ipotesi della “necessità di modifica [.] determinata da circostanze impreviste ed imprevedibili per l’amministrazione”, tale tuttavia da non alterare “la natura generale del contratto”.

Esistono tuttavia delle differenze relativamente ai contratti che si vanno a sottoscrivere nei differenti settori dei contratti pubblici, in quanto, relativamente ai Lavori, il contratto sottoscritto all’esito della gara è un appalto di natura civilistica (art. 1665 Cod.Civ), quello che si stipula all’esito di una procedura d’affidamento di pubbliche forniture è una vendita (art. 1470 Cod.Civ.) mentre, infine, all’erogazione di servizi si applica il contratto di somministrazione (art. 1559 Cod.Civ.);

Queste tre tipologie contrattuali non solo risultano differenti temporalmente – in quanto la vendita prevede generalmente una prestazione “immediata”, mentre l’appalto e la somministrazione sono contratti “di durata” – ma vieppiù sono differenti anche (e soprattutto) per il fatto che tanto l’appalto che la somministrazione sono contratti di natura “commutativa”, nel senso che la ragion stessa del contratto è la "scommessa" che la parte offerente si assume di spendere di meno – nell’edificazione di un opera o nella somministrazione di un servizio – rispetto al valore offerto dalla committente per detta attività.

In altri termini la possibile variazione del costo di realizzazione di un'opera è insito nella natura stessa del contratto d’appalto, ragion per cui l’istituto della revisione-prezzi si scontra proprio ontologicamente con detta natura.

Partendo dunque da questo presupposto, ma tenendo a mente che l’art. 106, comma 1° D.Lgs.n. 50/2016 prevede in qualsiasi caso la possibilità di modifica della controprestazione economica al verificarsi di  circostanze impreviste ed imprevedibili (come la guerra e la pandemia), purché  non si “alteri la natura generale del contratto”, per procedere dunque a presentare una legittima  richiesta revisionale è necessario non solo che il contratto sia “di durata” (e che sia trascorso più di 1 anno dalla sua sottoscrizione) ma che altresì la natura dello stesso non venga alterata, ovvero non si azzeri il rischio d’impresa (Cons.St. n. 1980/2019), oltre a  dover essere la parte richiedente a comprovare tanto le circostanze eccezionali sopravvenute quanto – e soprattutto - dimostrare  l’ammontare dello scostamento di costi fra quelli previsti nel disegno di gara (rectius, quelli offerti dall’aggiudicataria) rispetto a quelli che la medesima deve invece accollarsi in conseguenza del vertiginoso aumento intervenuto.