Cass. pen., Sez. III, 28/04/2022, n. 16302
Con sentenza n. 16302/2022, la Corte di Cassazione penale ha per la prima volta dato applicazione alla novella normativa in materia di responsabilità amministrativa da reato degli enti derivante dai reati fiscali.
In estrema sintesi, la Corte ha ritenuto una società responsabile dell’illecito amministrativo derivante dalla commissione del reato presupposto previsto dall’art. 25-quinquiesdecies d.lgs. 231/2001.
I FATTI
I fatti sottesi alla decisione che oggi ci apprestiamo ad esaminare, sono relativi alla commissione da parte di una società di trasporti del reato di cui all’art. 2 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”). I soggetti apicali della società emettevano fatture per operazioni giuridicamente inesistenti, simulando contratti di appalto invece di somministrazione di mano d’opera e, nelle dichiarazioni IVA della società, indicavano elementi passivi fittizi ad IVA indetraibile, così facendo ottenere alla società un vantaggio fiscale per un ammontare complessivo di circa cinque milioni di euro.
Tra i motivi del ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano che confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP, la Società lamentava che la falsità delle fatture sarebbe stata in ogni caso irrilevante ai fini dell’evasione dell’imposta, sia in senso oggettivo che soggettivo, così non integrando un effettivo vantaggio fiscale.
Infatti, parte ricorrente ha sottolineato come, da un lato, la classificazione del rapporto come di somministrazione di lavoro o di appalto a nulla rileva ai fini dell’imposta IVA. Dall’altro, sotto il profilo soggettivo, l’indicazione in fattura di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la fornitura o prestato il servizio rileverebbe solo nel caso in cui la falsa indicazione incida sulla misura dell’aliquota e, quindi, sull’entità dell’imposta.
Di conseguenza, la Società ha sostenuto l’assenza di un vantaggio fiscale a beneficio della medesima e, di conseguenza, l’assenza dei presupposti necessari a ritenere sussistenti profili di responsabilità a suo carico.
I MOTIVI DELLA DECISIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto i motivi del ricorso infondati.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato come la società non assumeva i lavoratori di cui necessitava per erogare i propri servizi ma erogava la prestazione impiegando la forza lavoro fornita da altri soggetti, attraverso la stipulazione di un contratto di appalto non genuino e una somministrazione illecita di manodopera. Ciò avrebbe inciso determinando una concorrenza sleale tra imprese, avendo comportato lo sfruttamento di lavoratori e avendo così prodotto evasioni fiscali e contributive con particolare riferimento all’evasione IVA.
Secondo lo schema attuato, la committente, attraverso tale appalto non genuino, ha azionato il diritto alla detrazione dell'Iva dopo aver articolato un “meccanismo in forza del quale, attraverso il pagamento di fatture per "finti" appalti di opere e servizi, ha "scaricato" l'Iva da un consorzio che, a sua volta, ha "scaricato" il tributo dalle cooperative consorziate che l'avrebbero dovuto versare allo Stato”. Le stesse cooperative che, dopo qualche anno, hanno cessato l'attività, rimanendo in debito verso l'erario, che non ha potuto recuperare l’imposta, con conseguente accollo dell'evasione fiscale alla collettività.
CONCLUSIONI
In conclusione, nel caso di stipula di contratti di appalto di servizi fittizi in luogo della somministrazione di manodopera, l'utilizzo nelle dichiarazioni fiscali Iva delle fatture rilasciate, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti, integra il delitto di "Dichiarazione fraudolenta" di cui all'art. 2, d.Lgs. n. 74/2000, e comporta la responsabilità, ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, anche dell'ente nel cui interesse e vantaggio è stato commesso l'illecito. Ciò in ragione dell’estensione del catalogo dei “reati presupposto 231”, anche ai reati tributari, tra cui la frode fiscale.