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La valutazione del merito creditizio e il Decreto Liquidità

27/05/2020

La valutazione del merito creditizio è un metodo che utilizzano le banche per verificare se il cliente è in grado di restituire la somma oggetto di prestito.

Con l’entrata in vigore del Decreto-legge c.d. “Liquidità” (in attesa di conversione), il merito creditizio ha formato oggetto di una importante attenzione mediatica. Da più parti è stato contestato, invero, il fatto che le banche, in violazione di legge e dei doveri di solidarietà, avrebbero continuato a valutare le condizioni economiche-finanziarie dei clienti, così provocando ritardi e inefficienze nell’iniezione di liquidità.

Ma sono fondate tutte queste contestazioni? E perché le banche, in un periodo di crisi, continuano a effettuare la valutazione del merito creditizio?

Prima di riscontrare il quesito anzidetto, risulta preliminare, se non addirittura essenziale, individuare la ratio del merito creditizio, per comprendere appieno il motivo per cui gli intermediari svolgano ordinariamente degli accertamenti circa le condizioni economico-finanziarie dei propri clienti.

Possiamo individuare una triplice ratio posta alla base della valutazione del merito creditizio:

  1. la tutela della banca stessa e, più in generale, la salvaguardia dell’intero sistema bancario, dal momento che l’assenza di qualsiasi controllo potrebbe generare una crisi derivante dal mancato rimborso dei prestiti, con la conseguente impossibilità della clientela, ancorché “meritoria”, di ottenere la liquidità richiesta
  2. la tutela del singolo soggetto che richiede il prestito, soprattutto quando non sufficientemente strutturato per valutare “lucidamente” le proprie condizioni economico-finanziarie, per impedire alla banca di erogare prestiti con l’intento di ricavare un profitto dalla vendita dei beni oggetto di garanzia (Es. Ipoteca e pegno)
  3. la salvaguardia del mercato finanziario nel suo complesso e, in particolare, degli investitori/risparmiatori che acquistano i prestiti della clientela delle banche dalle società c.d. “veicolo” per il tramite delle operazioni di “cartolarizzazione”. In buona sostanza, suddette operazioni finanziarie permettono alle banche di recuperare la somma prestata dagli stessi investitori/risparmiatori, anziché attendere il rimborso da parte del cliente, così trasferendo a carico di quest’ultimi il rischio che il cliente non paghi il proprio prestito (a conferma dell’importanza di tale ratio, si segnala come la causa principale della crisi economica del 2008 è consistita proprio nella “cartolarizzazione” dei mutui c.d. “subprime”, cioè di finanziamenti concessi dalle banche statunitensi senza un’adeguata valutazione del merito creditizio ed immessi sul mercato finanziario come prodotti “sicuri”, quando in realtà la probabilità di inadempimento era molto elevata)

A tale triplice ratio, occorrere aggiungerne una quarta a causa della presenza della garanzia pubblica che coprirebbe questi finanziamenti: in tali casi, infatti, la valutazione del merito creditizio ridurrebbe l’eventualità di impiegare risorse pubbliche “a pioggia”. Lo Stato, in sostanza, con il “filtro” del merito creditizio, otterrebbe la sicurezza di “impegnare” risorse pubbliche a titolo di garanzie per i finanziamenti meno “rischiosi”, così riducendo l’impatto sul bilancio statale e potendo destinare tali risorse a settori maggiormente colpiti dall’epidemia

Circoscritta la ratio della valutazione del merito creditizio, occupiamoci di esaminare la normativa vigente in Italia. Precisiamo che suddetta analisi riguarderà esclusivamente imprese e i professionisti, essendo i consumatori soggetti ad una disciplina speciale di maggiore tutela.

In via generale, l’obbligo di effettuare la valutazione del merito creditizio delle imprese e dei professionisti si ricava:

  • dal principio della “sana e prudente gestione” di cui all’ 5 TUB, trasfuso dalla giurisprudenza nella necessità di svolgere “… una corretta erogazione del credito, nel rispetto non soltanto delle ragioni dell’utenza, ma di quelle delle altre imprese inserite nel sistema, con privilegio per le comunicazioni e le informazioni reciproche” (Ex multis: Cass. n. 343/1993; Cass. n. 5562/1999)
  • dal quadro normativo europeo delineato dal Regolamento (UE) n. 575/2013 e Direttiva 2013/36/UE, che, oltre a vietare alle banche di detenere crediti complessivamente troppo rischiosi (limite imposto dai c.d. “requisiti patrimoniali”), stabilisce dei criteri predittivi in grado di valutare il merito creditizio del cliente (c.d. rating)

In Italia, la predetta disciplina generale è integrata dalla normativa secondaria di dettaglio derivante dall’Autorità Bancaria Europea (ABE), dalla Banca Centrale Europea (BCE) e dalla Banca d’Italia. Ne sono un esempio le “Disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia” che, onde evitare eccessiva “personalizzazione” nell’erogazione del credito, impongono alle banche, tra le altre cose, di adottare Regolamenti interni per la standardizzazione delle procedure di valutazione del merito creditizio (è possibile, pertanto, che non tutte le banche adottino gli stessi criteri valutativi, seppur nei limiti di quanto stabilito dalla normativa generale e secondaria).

In linea generale, e per semplificare, potremmo sintetizzare tutta la normativa suesposta, affermando come l’erogazione del credito dipenda, non solo dal rating del singolo cliente, ma anche dal grado di rischio presentato del patrimonio complessivo della banca. Se ne deduce che la banca potrebbe esercitare il diritto di rifiutare il finanziamento anche ad un soggetto con un rating “sicuro”, qualora ovviamente giustificasse tale diniego con una situazione patrimoniale complessiva compromessa e/o comunque non in linea con le disposizioni di vigilanza della Banca d’Italia.

Da tali osservazioni desumiamo come l’erogazione di un prestito non sia un diritto del cliente, ma, al contrario, rappresenti una facoltà della banca, che la stessa esercita attraverso un continuo coordinamento tra il fattore di rischio individuale (rating) e la propria situazione patrimoniale complessiva (requisiti minimi patrimoniali).

Se tuttavia è pacifico che la banca abbia facoltà di decidere se erogare il finanziamento, occorre precisare come il cliente che si è visto opporre un rifiuto godrà del diritto di richiedere alla banca le motivazioni che l’hanno condotta a negare la richiesta di concessione. Tale diritto è stato confermato:

  • Dal Collegio di coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario, decisione n. 6182/13 del 29/11/2013, in virtù degli ‘inderogabili doveri di solidarietà sociale” imposti dall'art. 2 cost. e del correlato principio di “buona fede” di cui agli artt. 1175, 1374 e 1375 c.c.
  • Dalla stessa Banca d’Italia con il Bollettino n. 10/2007, secondo la quale “laddove si decida di non accettare una richiesta di finanziamento, è necessario che l’intermediario fornisca riscontro con sollecitudine al cliente; nell’occasione, anche al fine di salvaguardare la relazione con il cliente, andrà verificata la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”.

Pertanto, qualora la banca non fornisca suddetti chiarimenti, il cliente potrà chiamarla in causa, non già per ottenere il credito negato, ma per chiedere il risarcimento dei danni derivanti dalla violazione dell’obbligo di buona fede, consistenti nelle “spese inutilmente sostenute per la conclusione del contratto (danno emergente) e la perdita di altre occasioni contrattuali favorevoli” (Ex multis: Cass. n. 24795/2008; Cass. n. 12313/2005). Il cliente, per esempio, potrebbe chiedere alla banca la restituzione delle spese sostenute per la perizia tecnica del proprio immobile e/o i compensi pagati ad eventuali professionisti in occasione della richiesta di finanziamento negata.

Peraltro, a ciò si aggiunga che, qualora la banca non ricorresse ad una adeguata valutazione del merito creditizio, paradossalmente, una tale condotta potrebbe configurare:

  • una responsabilità contrattuale di tipo risarcitorio ex 1218 c.c., derivante dall’aver concesso un credito, in violazione del principio della sana e prudente gestione di cui all’art. 5 TUB, perché ha portato ad un indebitamento eccessivo del cliente (cfr. Cass. n. 17268/2017 che ha condannato la banca al pagamento dei danni per aver erogato un credito ad una società, senza che quest’ultima si trovasse in condizioni economico-finanziaria tali da giustificare un tale impegno finanziario);
  • una responsabilità di tipo precontrattuale ex 1175, 1374 e 1375 c.c., per aver concluso in violazione dell’obbligo di buonafede un contratto che ha provocato danni (c.d. contratto valido ma dannoso) che, a fronte di informazioni più chiare e/o comunque in caso di diniego del finanziamento, non si sarebbero mai verificati;
  • l’illecito o il reato di usura ex art. 644 c.p. qualora la banca, attraverso la concessione del credito, abbia applicato interessi, ancorché inferiori al tasso soglia, comunque sproporzionati sebbene il cliente si trovasse al momento della stipula in condizioni di “difficoltà economica o finanziaria”.

Così esaminato il complesso istituto del merito creditizio, occorre quindi riscontrare il quesito posto all’inizio dell’articolo e verificare se i Decreti “Curaitalia” e “Liquidità” abbiano eliminato e/o derogato la valutazione del merito creditizio. A tale quesito occorre rispondere negativamente in quanto tutta la normativa suesposta è ancora attualmente vigente e non vi è stata alcuna deroga da parte del Legislatore circa l’obbligo di valutare il merito creditizio (se non con riferimento alle operazioni di microcredito ex art. 111 TUB, ma soltanto per le nuove PMI che non abbiano bilanci precedenti che consentano suddetta valutazione).

Diversamente ciò che è stato derogato dai Decreti Cura Italia e Liquidità, e che forse è stato “mediaticamente” scambiato per merito creditizio, sono le condizioni di accesso alla garanzia pubblica . Difatti, a differenza del sistema previgente che prevedeva controlli molto rigidi per accedere alla garanzia pubblica offerta dal Fondo “PMI”, i Decreti Curaitalia e Liquidità hanno stabilito un accesso “semplificato”, eliminando la necessità del modello di valutazione per il rischio di inadempimento. A ciò si aggiunga che, per i finanziamenti non superiori a € 25.000 di cui all’art. 13, lett. m, l’accesso alla garanzia sarà oltretutto concesso senza attendere l’esito definitivo dell’istruttoria da parte del fondo).


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Questo articolo fa parte della rubrica "Emergenza Coronavirus: focus per le imprese". Vedi qui gli altri approfondimenti