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La mobilità dei lavoratori nelle zone arancioni. Riflessi immediati del DPCM 8/3/2020

09/03/2020

Cosa succede per i datori di lavoro e per i lavoratori dopo il DPCM firmato dal Premier Conte nella notte tra sabato e domenica?

Innanzitutto non sussiste più una zona rossa (il che appare da sola una prima grande differenza). Ricordiamo infatti che nella zona comunemente identificata con il Comune di Codogno (LO) e le zone limitrofe si era impedito alle imprese di qualunque settore di poter essere attive. La serrata, infatti, era “obbligatoria per legge”.

Oggi abbiamo la c.d. zona arancione individuata dal DPCM 8/3/2020 nella Lombardia e 14 province tra Emilia-Romagna, Marche e Veneto.

Le attività commerciali e imprenditoriali in queste zone possono restare aperte, ma con limitazioni.

Più esattamente

  • il personale in quarantena è (ovviamente) in astensione obbligatoria dal lavoro;
  • tutti gli altri (dipendenti, liberi professionisti, Agenti di commercio, artigiani) possono lavorare con alcune limitazioni.
Il DPCM, e l’odierno comunicato del Ministero degli Interni, non vieta infatti lo spostamento per ragioni di lavoro, ma afferma solo che lo spostamento deve essere “motivato da comprovate esigenze lavorative”.

Si ritiene che tale “prova” possa essere data

  • attraverso un contratto, ed il relativo spostamento collegato all’adempimento contrattuale

oppure anche

  • attraverso una autocertificazione, con la quale si dichiara da dove si parte, dove si va, quali sono i motivi del trasferimento, sul modello già predisposto dal Ministero degli Interni e consegnato dagli organi di Polizia.

Resta inteso che la falsa dichiarazione è punita dal Codice penale all’art. 495 cp e lo stesso DPCM stabilisce all’art. 4 che il  mancato rispetto degli obblighi del DPCM è punito ai sensi dell'articolo 650 del Codice Penale.

Preme poi segnalare che il decreto non chiede di dimostrare che le esigenze di spostamento del lavoratore siano “indifferibili” e /o “indispensabili”.
In altre parole: ci si potrà spostare
  1. per ragioni lavorative attinenti all’ordinaria attività e mansione svolta (pensiamo ad esempio agli agenti di commercio, o al dipendente applicato al reparto commerciale di una società),
  2. per andare e tornare dal luogo di lavoro all’interno o all’esterno delle zone arancioni dimostrando solo che tale spostamento è dovuto a ragioni di lavoro.

E’ chiaro che l’obiettivo è quello di non bloccare la produttività del paese. Tenuto poi conto di quanto sopra è altrettanto evidente che il lavoratore non potrà sottrarsi dal rendere la prestazione lavorativa, magari perché spaventato dal pericolo di contagio.

Da parte sua, il datore di lavoro - laddove intenda aprire un procedimento disciplinare nei confronti del dipendente che ha paura di contrarre il virus senza una apparente ragioen concreta - dovrà con tutta evidenza dimostrare, ad esempio, di aver adottato tutte le precauzioni, i dispositivi di Protezione Individuale e lo smartworking ove possibile per contenere il “rischio” contagio ecc..


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Questo articolo fa parte della rubrica "Emergenza Coronavirus: focus per le imprese". Vedi qui gli altri approfondimenti