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Contagio da Covid-19 e responsabilità penale del datore di lavoro e dell’ente ex D.lgs 231/2001. Il sottile confine tra infortunio e malattia

28/05/2020

Circolare INAIL, 2020/04/03, n. 13

Circolare INAIL, 2020/05/20, n. 22


Cosa accade se il lavoratore contrae l’infezione Covid-19?
Come si stabilisce se il contagio ha origine professionale?
Quali sono le conseguenze per il datore di lavoro e per l’ente?

In questi mesi di emergenza epidemiologica, ogni datore di lavoro si è trovato costretto a confrontarsi con questi interrogativi, nella speranza di poter presto riavviare la propria attività, ma con il non celato di timore di incorrere in responsabilità penali di non poco conto, sia personali che societarie ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001.

Come noto, le lesioni colpose gravi e gravissime - così come la morte - per violazione della normativa in tema di sicurezza sul lavoro dà avvio ad un procedimento penale, che porta con sé spesso anche la responsabilità amministrativa dell’ente e il reato è avvenuto nel suo interesse o vantaggio.

Si è già detto, in tema di reati colposi, cosa la Giurisprudenza abbia inteso per vantaggio ed interesse: risparmio di spesa così come l’eliminazione dei tempi morti per aumentare la produttività dell’impresa.

L’ormai famoso Decreto Cura Italia D.l. 18/2020, difatti, aveva previsto espressamente che il contagio da Covid-19 in ambito lavorativo dovesse essere trattato dal datore di lavoro come infortunio. L’INAIL con circolare n. 13 del 3 aprile 2020 aveva precisato che “secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro: in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta.In tale ambito delle affezioni morbose, inquadrate come infortuni sul lavoro, sono ricondotti anche i casi di infezione da nuovo coronavirus occorsi a qualsiasi soggetto assicurato dall’Istituto”.

La circolare aveva creato non poca fibrillazione. Così pochi giorni fa, a distanza di quasi due mesi, l’Istituto si determina ad emettere una nuova circolare (n. 22 del 20 maggio 2020), chiarendo che

“il riconoscimento dell’origine professionale del contagio non ha alcuna correlazione con i profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro nel contagio medesimo,  che è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali di cui all’articolo 1, comma 14 del d.l. 16 maggio 2020, n.33”.

Un sospiro di sollievo per i datori di lavoro? Forse.

Lo scopriremo quando - passata l’emergenza (speriamo presto) - vedremo come si atteggeranno le Procure.

Bene ha fatto l’INAIL a negare l’equazione infortunio = responsabilità penale del datore del lavoro, peccato che identificare il contagio da Covid-19 quale infortunio e non malattia, significhi nei casi di prognosi oltre i 40 giorni automatica iscrizione di procedimento penale a carico del datore di lavoro, trattandosi di reato procedibile d’ufficio. Iscrizione che spesso si accompagna al coinvolgimento dell’Ente.

Certo, ci sarà da discutere in sede penale e non poco.

Non solo perché il (povero) imprenditore si è trovato a dover rincorrere una frastagliata e alluvionale normativa di emergenza, ma anche perché - in una tale situazione di incertezza scientifica (sulla natura eziologica del contagio così come sulle misure di prevenzione da adottare) - si dovrà verificare se il datore di lavoro sia stato nelle condizioni di aggiornare il proprio DVR e MOG in maniera effettiva. Ciò significa non solo sapere individuare idonee ed efficaci misure di prevenzione e protezione, ma anche adottarle, in un periodo in cui i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) sono stati (e talvolta ancora sono) un miraggio.

Un ultimo interrogativo: in sede penale, come si farà ad accertare se il lavoratore si sia ammalato (ops, infortunato!) in azienda e non invece al di fuori del contesto lavorativo?


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Questo articolo fa parte della rubrica "Emergenza Coronavirus: focus per le imprese". Vedi qui gli altri approfondimenti