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Ritardata diagnosi e responsabilità del sanitario. La tutela penale si estende anche in ipotesi di “mancato prolungamento della vita”?
La pronuncia oggi in commento affronta un interessante aspetto in tema di “ritardata diagnosi” e responsabilità penale del sanitario.
Il dibattito si concentra sull’estensione del bene vita da tutelare.
L’orientamento dominante per lungo tempo, difatti, sembrava aver individuato nell’”evento morte” se non l’unico, di certo il principale, evento di cui tenere conto, con applicazione di principi ormai consolidati di cui alla nota Sentenza SS.UU 2002 Franzese.
La tematica della “diagnosi tardiva”, tuttavia, ha sollecitato negli ultimi anni una riflessione che ha inteso ampliare il perimetro del bene “vita” da salvaguardare.
Proprio lo scorso anno, la Suprema Corte, Sez. penale IV, 10/02/2020 n. 5315 aveva affrontato la questione della responsabilità sanitaria sino a ritenere penalmente rilevante anche la condotta del medico che – in capo di mancata tempestiva diagnosi – abbia determinato un mero ritardo nella guarigione, senza che ciò implichi un aggravamento delle conseguenze lesive (sul punto, si rimanda all'articolo "Mancata tempestiva diagnosi: ha rilevanza penale anche il solo ritardo nella guarigione? ").
La recente pronuncia della Cassazione si inserisce in questo solco.
La vicenda trae origine da una pronuncia del Tribunale di Ravenna che assolveva due medici, un anatomopatologo ed un gastroenterologo, dall’imputazione per omicidio colposo, per aver contribuito, per mezzo di condotte negligenti, imperite e imprudenti (avevano diagnosticato con sei mesi di ritardo un carcinoma pancreatico che affliggeva la donna, impedendole, di fatto, di cominciare una terapia chirurgica) a cagionare la morte di una donna.
Il Giudice di prime cure, difatti, pur confermando che una diagnosi tempestiva avrebbe garantito una “cospicua percentuale di sopravvivenza” (significativa quale “aumento di chance” in sede civilistica ma non penale) avevano statuito come non fosse “dimostrato con sufficiente certezza il nesso causale fra condotte colpose ed evento”.
Il PM e la PC impugnavano la pronuncia - proponendo ricorso immediato per Cassazione - osservando come il Tribunale avesse individuato la morte come unico evento di cui tenere conto, senza soffermarsi minimamente sul diritto alla sopravvivenza per un tempo significativo, giungendo alla “implicita conclusione che nel caso concreto, come in tutti i casi di morte conseguente ad errore diagnostico, la vera causa fondante il decesso è (n.d.s.solo) la patologia”.
Gli ermellini non hanno condiviso il giudizio offerto dal Giudice di prime cure e, nel fare ciò, ne hanno approfittato per riordinare il concetto di nesso causale nell’ambito reati omissivi impropri.
In primis, si sono soffermati sulla concezione del bene vita, affermando che quest’ultimo non deve essere inteso restrittivamente nell’ambito di una contrapposizione vita/morte, bensì in una concezione più ampia, che ricomprenda anche “l’allungamento della vita” come “un bene giuridicamente rilevante anche se temporalmente non molto esteso”.
La Corte di legittimità, nel richiamare suoi precedenti arresti, ha poi individuato alcuni principi in tema di patologia tumorale sancendo che:
- “la stessa scienza medica (…) sostiene la necessità di una sollecita diagnosi delle patologie tumorali e rileva come la prognosi della malattia vari a seconda della tempestività dell’accertamento” (cfr. Sez. 4, n. 36603 del 05/05/2011, Faldetta, non massimata) e che sussiste la responsabilità penale anche quando l’omissione del sanitario contribuisca alla progressione del male;
- “in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva (v. Sez. 4, n. 18573 del 14/02/2013, Meloni, Rv. 256338).
Proprio in ossequio del menzionato principio, nel caso di specie, veniva annullata la sentenza di primo grado con trasmissione degli atti alla Corte di Appello, che sarà chiamata ad accertare “dandone adeguato conto in motivazione, se, in termini di elevata probabilità logica, qualora tempestivamente diagnosticata e trattata, la malattia tumorale da cui era affetta V. L. avrebbe comunque consentito alla paziente una sopravvivenza apprezzabile”.