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Rifiuto di sottoporsi alla vaccinazione: cosa può succedere in azienda
Trib. Belluno, n. 328/2021
Da qualche giorno dilagano articoli e commenti alle recentissime ordinanze, la n. 12/2021 e la n. 328/2021, del Tribunale di Belluno con cui si tenta di far dire ai Giudici qualcosa che, in realtà, non è mai stato detto.
Il primo provvedimento verte su un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c. presentato da due infermieri e otto operatori sociosanitari, i quali hanno adito il Giudice al fine di ottenere l’ordine di cessazione delle misure adottate dal datore di lavoro in risposta al loro rifiuto di sottoporsi al vaccino anti-Covid 19. In particolare, la scelta del datore di lavoro è stata quella di imporre a tutti i lavoratori “no vax” le ferie retribuite, ed è proprio sulla liceità di questa decisione che il giudice di Belluno è stato chiamato a pronunciarsi.
Due sono i passaggi fondamentali stabiliti dal Tribunale di Belluno. Il primo: l’inesistenza del fumus bonis iuris, ossia della parvenza di una lecita pretesa dei ricorrenti, dichiarata alla luce dell’obbligo del datore di lavoro (ex art. 2087 c.c.) di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Il Giudice ha quindi, ragionevolmente, ritenuto che la mancata sottoposizione dei lavoratori al vaccino anti-Covid 19, benché frutto di una loro libera scelta, non faccia venir meno in capo al datore di lavoro il predetto obbligo, con la naturale conseguenza che la disposizione delle ferie forzate deve considerarsi una misura volta a tutelare la salute dei lavoratori quando questi svolgano mansioni a contatto con i terzi e rifiutino di sottoporsi alla vaccinazione.
In secondo luogo, il Giudice ha poi ritenuto insussistente il periculum in mora che i ricorrenti avevano ricondotto alla “sospensione dal lavoro senza retribuzione” e al “licenziamento”, poiché non era stato allegato da parte ricorrente alcun elemento da cui si potessero desumere le predette intenzioni del datore di lavoro, anche alla luce del fatto che gli operatori no vax continuavano ad essere regolarmente retribuiti.
La Sezione Lavoro del Tribunale di Belluno, riunita in forma collegiale, ha poi ribadito la sua posizione con l’ordinanza 328 del 6 maggio 2021, con cui rigetta il reclamo promosso dai lavoratori contro il precedente provvedimento. I lavoratori ribadivano le loro ragioni e chiedevano contestualmente al Tribunale di sollevare una questione di legittimità costituzionale in merito all’articolo 4 comma 1 del sopravvenuto D.l. 44/2021, per contrasto con l’articolo 32 della Costituzione nella parte in cui prevede l’obbligo di vaccinazione per chi esercita le professioni sanitarie al fine di tutelare la salute pubblica.
Il Tribunale ha rilevato l’inammissibilità del reclamo ritenendo venuto meno l’interesse ad agire in capo alle reclamanti alla luce delle previsioni del decreto legge, e giustificata l’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti volti a inibire la presenza sul luogo di lavoro, nei particolari ambiti previsti dal decreto, di lavoratori che abbiano rifiutato la vaccinazione anti COVID-19. Il Collegio ha poi rigettato la questione di legittimità costituzionale per manifesta infondatezza, chiarendo che il diritto alla salute dei soggetti fragili che entrano in contatto con gli esercenti le professioni sanitarie, in quanto bisognosi di cure, è prevalente sulla libertà di chi non vuole vaccinarsi.
In ultima analisi, possiamo sicuramente dire che con le ordinanze in commento la collocazione in ferie degli operatori sanitari che rifiutino la vaccinazione può ritenersi una misura (lecita). Tuttavia, a differenza di quanto molti dicono, le suddette ordinanze non hanno prodotto nessuna apertura a provvedimenti di sospensione senza retribuzione o ad allontanamenti temporanei per gli operatori che rifiutino di sottoposti al vaccino anti-Covid 19.