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A chi spetta la paternità delle invenzioni di lavoratori dipendenti e ricercatori?

16/02/2023
Ilaria Nanni

Il tema della tutela delle invenzioni realizzate dal lavoratore nel luogo di lavoro è di grande attualità e merita un approfondimento, soprattutto alla luce della crescente conflittualità giudiziaria in tema di diritti di proprietà industriale tra datore di lavoro e lavoratore dipendente.

Accade spesso infatti che il lavoratore, sia esso dipendente privato o ricercatore universitario, elabori nell’adempimento del contratto di lavoro, un’invenzione industriale potenzialmente utile per l’azienda o l’ente per il quale svolge le proprie mansioni.

Il problema si pone in riferimento ai diritti di sfruttamento economico dell’invenzione: spetteranno al lavoratore inventore o al datore di lavoro?

Una prima distinzione fondamentale si incontra nelle previsioni del Codice della proprietà industriale (CPI), che disciplina diversamente i diritti spettanti ai dipendenti privati rispetto ai ricercatori universitari e degli enti pubblici di ricerca, anche se, come vedremo, questa differenza sta per essere superata con la riforma del CPI.

INVENZIONI DEI DIPENDENTI (ART. 64 CPI)

Nell’ambito delle invenzioni elaborate dai dipendenti, la prima distinzione fondamentale riguarda la differenza tra invenzioni di servizio e invenzioni d’azienda.

Le prime, sono disciplinate dall’art. 64 comma 1 CPI, e si configurano in tutti i casi in cui l’attività inventiva costituisca oggetto del contratto di lavoro, e venga sistematicamente posta in essere durante il rapporto, e a tale scopo adeguatamente retribuita.

Le seconde al contrario, sono disciplinate dall’art. 64 comma 2 CPI, e sono caratterizzate per il fatto che l’attività inventiva, pur realizzandosi di fatto nell’esecuzione della prestazione lavorativa, non è espressamente prevista come oggetto del rapporto di lavoro e quindi non viene ricompresa nell’ordinaria retribuzione.

Chiarita questa importante distinzione, quali tutele vengono riconosciute all’invenzione d’azienda? L’attività inventiva può dare luogo ad un diritto all’equo premio per il lavoratore?

La soluzione al quesito, è stata recentemente fornita dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 698 del 12 gennaio 2023, che esaminando un caso di invenzione elaborata nell’ambito aziendale, ha sancito alcuni importanti criteri.

In primo luogo, la Corte Suprema, richiamando l’art. 64 comma 2 CPI, evidenzia che:

  • i diritti derivanti dall’invenzione spetteranno al datore di lavoro;
  • all’inventore dovrà però essere riconosciuta la paternità dell’invenzione, nonché un equo premio corrisposto una tantum per la prestazione straordinaria svolta, qualora il datore di lavoro ottenga il brevetto o utilizzi l’invenzione in regime di segretezza industriale.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il datore di lavoro potrà scegliere alternativamente se:

  1. disporre la brevettazione dell’invenzione, con conseguente corresponsione dell’equo premio all’inventore;
  2. propendere per la segretazione, facendo affidamento sulla tutela riconosciuta ai segreti commerciali secondo i requisiti fissati dall’art. 98 comma 1 CPI: segretezza, valore economico delle informazioni, adozione di misure idonee a mantenerne la segretezza. Ciò non potrà in ogni caso pregiudicare il diritto del lavoratore inventore all’equo compenso.

INVENZIONI DEI RICERCATORI DELLE UNIVERSITÀ E DEGLI ENTI PUBBLICI DI RICERCA (ART. 65 CPI)

L’art. 65 CPI, nel disciplinare le invenzioni dei ricercatori delle università e degli enti pubblici, stabilisce che il ricercatore è riconosciuto come titolare esclusivo dei diritti derivanti dall’invenzione brevettabile di cui è autore. All’inventore spetterà inoltre il diritto di brevettare l’invenzione, dandone adeguata comunicazione all’ente di appartenenza.

L’importo massimo del compenso da corrispondere all’inventore dovrà essere stabilito dalle università e dalle pubbliche amministrazioni, e non potrà essere inferiore al 50% dei proventi o delle royalties di sfruttamento dell’invenzione.

Questo sistema, conosciuto più comunemente come “Professor’s privilege”, predilige la posizione del ricercatore, limitando al solo caso di “disinteresse” dell’inventore per cinque anni allo sfruttamento industriale, l’acquisto automatico della pubblica amministrazione del diritto di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto come autore.

Quali prospettive future?

Il Disegno di legge n. 2631 presentato dal Ministro dello sviluppo economico e comunicato alla presidenza il 25/05/2022 intitolato “Modifiche al codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30” propone interessanti novità in tema di rafforzamento della competitività e protezione della proprietà industriale.

Fra le novità più rilevanti, troviamo la proposta di modifica dell’art. 65 CPI con conseguente ribaltamento dell’approccio previsto dall’attuale versione (c.d. Professor privilege), riconoscendo la titolarità delle invenzioni realizzate dai ricercatori direttamente alla struttura di appartenenza, e solo in caso di inerzia di quest’ultima al ricercatore.

L’obiettivo perseguito dal DDL, in ottemperanza alla Missione M1C2-4 del PNRR, è certamente quello di favorire i processi di trasferimento tecnologico dalle università ed enti pubblici di ricerca a quello delle imprese, mediante la valorizzazione della proprietà industriale e consentendo il concreto utilizzo delle invenzioni.

ALCUNE CONSIDERAZIONI

Se è vero che da un lato questo nuovo sistema basato sul trasferimento tecnologico è sempre più improntato alla digitalizzazione ed alla semplificazione delle procedure, dall’altro lato sarà comunque necessario disciplinare i rapporti interni (datore di lavoro-lavoratore privato o pubblico) ed esterni mediante appositi regolamenti contrattuali volti a tutelare i diversi interessi presenti in gioco.