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Motori di ricerca in Internet e tutela delle banche di dati: una recente sentenza della Corte di Giustizia Europea
Con una recentissima sentenza la Corte di Giustizia ha avuto l’occasione di affrontare il tema della tutela giuridica delle banche dati e di fornire importanti precisazioni sulla corretta interpretazione dell'art. 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 96/9/CE.
Ricordiamo che il contenuto della direttiva 96/9/CE in materia di tutela sui generis della banche dati è stato recepito dall’art. 102 l.d.a, ai sensi del quale colui che effettua investimenti finalizzati alla realizzazione di una banca di dati è definito dalla legge il costitutore (art. 102-bis, comma 1 lett. a) l.d.a.), ed è titolare di un diritto sui generis ovvero può “vietare le operazioni di estrazione ovvero reimpiego della totalità o di una parte sostanziale della stessa”, salvi, ovviamente, i diritti già esistenti sul contenuto della raccolta o parti di esso” (art. 102-bis, comma 3, l.d.a.).
I fatti di causa riguardavano un motore di ricerca in Internet specializzato nella ricerca dei contenuti delle banche di dati, che copia e indicizza la totalità o una parte sostanziale di una banca di dati liberamente accessibile in Internet, e successivamente consente ai suoi utenti di effettuare ricerche in tale banca di dati sul proprio sito Internet secondo criteri pertinenti dal punto di vista del suo contenuto.
Il costitutore della banca di dati ha il diritto di vietare l'estrazione o il reimpiego?
In via preliminare, la Corte precisa la portata e la finalità della tutela del diritto sui generis derivante dalla direttiva 96/9/CE. Dai considerando 40 e 41 della direttiva 96/9/CE deriva che tale diritto sui generis ha lo scopo di assicurare la tutela di un investimento rilevante effettuato per costituire, verificare o presentare il contenuto di una banca di dati per la durata limitata del diritto accordando al costitutore di una banca di dati la possibilità di impedire l’estrazione e/o il reimpiego non autorizzati della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati.
In sostanza la finalità del diritto previsto all’articolo 7 della direttiva 96/97CE è di garantire alla persona che ha preso l’iniziativa e ha assunto il rischio di destinare un investimento rilevante, in termini di risorse umane, tecniche e/o finanziarie, alla costituzione e al funzionamento di una banca di dati, la remunerazione del suo investimento, tutelandola contro l’appropriazione non autorizzata dei risultati conseguiti da detto investimento.
Ma a quali condizioni la banca di dati può essere tutelata dal diritto sui generis ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 96/9/CE?
La tutela di una banca di dati è giustificata solo a condizione che il conseguimento, la verifica o la presentazione del contenuto di detta banca di dati attestino un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo, includendo nella nozione di investimento
- i mezzi destinati, al fine di assicurare l’affidabilità dell’informazione contenuta nella detta banca di dati, al controllo dell’esattezza degli elementi ricercati, all’atto della costituzione di questa banca di dati così come durante il periodo di funzionamento della stessa;
- i mezzi diretti a conferire a detta banca di dati la sua funzione di elaborazione dell’informazione, ossia quelli destinati alla disponibilità sistematica o metodica degli elementi contenuti in tale banca di dati nonché all’organizzazione della loro accessibilità individuale.
Per quanto riguarda, invece, i criteri che consentono di concludere che un atto dell’utente costituisce un’«estrazione» e/o un «reimpiego», ai sensi della direttiva 96/9/CE, la CGUE ricorda che l’articolo 7, paragrafo 2, lettera a), di quest’ultima definisce
- l’«estrazione» come «il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma».
Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera b), della medesima direttiva, il «reimpiego» comprende «qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione in linea o in altre forme».
L'interpretazione delle nozioni di estrazione e reimpiego
Fondandosi sull’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione attraverso l’istituzione di un diritto sui generis, la Corte ha accolto un’interpretazione ampia sia della nozione di «reimpiego» (sentenza del 19 dicembre 2013, Innoweb, C‑202/12), sia della nozione di «estrazione» (sentenza del 9 ottobre 2008, Directmedia Publishing, C‑304/07).
Dalla giurisprudenza della Corte risulta che tali nozioni di «estrazione» e di «reimpiego» devono essere interpretate nel senso che si riferiscono a qualsiasi atto consistente, rispettivamente, nell’appropriazione e nella messa a disposizione del pubblico, senza il consenso del costitutore della banca di dati, dei risultati del suo investimento, privando così quest’ultimo di redditi che dovrebbero consentirgli di ammortizzare il costo di tale investimento (sentenza del 9 novembre 2004, The British Horseracing Board e a., C‑203/02).
Per quanto riguarda, più precisamente, il funzionamento di un motore di ricerca specializzato, la Corte ha dichiarato che il gestore di un metamotore di ricerca specializzato effettuava un «reimpiego», ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 96/9, della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati, contenuta in un sito Internet appartenente a un terzo, quando forniva a un numero indeterminato di utenti finali un dispositivo idoneo a esplorare i dati contenuti in tale banca di dati e offriva così un accesso al contenuto della medesima seguendo un percorso diverso rispetto a quello previsto dal costitutore di quest’ultima.
La Corte ha sottolineato che una siffatta attività lede il diritto sui generis del costitutore della banca di dati, poiché priva tale costitutore di redditi che dovrebbero consentirgli di ammortizzare il costo del suo investimento. Infatti, in un caso del genere, l’utente non ha più bisogno di passare attraverso la pagina iniziale e il modulo di ricerca della banca di dati del terzo interessato, dal momento che può esplorare tale banca di dati direttamente utilizzando il servizio del gestore del metamotore di ricerca (v., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2013, Innoweb, C‑202/12).
Nel caso di specie, il motore di ricerca incriminato, fornendo la possibilità di effettuare ricerche simultaneamente in più banche di dati, secondo i criteri pertinenti dal punto di vista delle persone alla ricerca di lavoro, consente agli utenti l’accesso, nel proprio sito Internet, ad offerte di lavoro contenute in altre banche di dati, seguendo un percorso diverso da quello previsto dal loro costitutore. Inoltre, la messa a disposizione di tali dati si rivolge al pubblico, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 96/9, dal momento che un simile motore di ricerca può essere utilizzato da chiunque. Tale motore di ricerca, indicizzando e copiando sul proprio server il contenuto dei siti Internet, trasferisce il contenuto delle banche di dati costituite da tali siti verso un altro supporto.
Alla luce delle considerazioni che precedono la Corte di Giustizia ha concluso affermando che:
«L’articolo 7, paragrafi 1 e 2, della direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati, deve essere interpretato nel senso che un motore di ricerca in Internet specializzato nella ricerca dei contenuti delle banche di dati, che copia e indicizza la totalità o una parte sostanziale di una banca di dati liberamente accessibile in Internet, e successivamente consente ai suoi utenti di effettuare ricerche in tale banca di dati sul suo sito Internet secondo criteri pertinenti dal punto di vista del suo contenuto, procede a un’«estrazione» e a un «reimpiego» di tale contenuto, ai sensi di detta disposizione, che possono essere vietati dal costitutore di una siffatta banca di dati nei limiti in cui tali atti arrecano pregiudizio al suo investimento nel conseguimento, nella verifica o nella presentazione di tale contenuto, vale a dire costituiscono un rischio per le possibilità di ammortamento di tale investimento attraverso la normale gestione della banca di dati in questione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.»