Cass. Civ., ordinanza interlocutoria 6/03/2023, n. 6568
Segnaliamo l’importante ordinanza del 6 marzo 2023 n. 6568 della Corte di Cassazione la cui risoluzione avrà un impatto su tutti i distributori di dispositivi medici o diagnostici in vitro organizzati in forma di gruppi societari (multinazionali). In particolare, la Cassazione ha chiesto alla Corte di Giustizia UE se i venditori di prodotti che utilizzano segni distintivi (ragione sociale, denominazione e/o marchi) in tutto o in parte coincidenti con quelli dei produttori rispondano dei danni da prodotto difettoso ai sensi della Dir. 85/374/CEE. Qualora la Corte di Giustizia ritenesse anche tali soggetti responsabili, vi sarebbe un incremento della responsabilità di tutti i distributori di dispositivi medici o diagnostici in vitro che utilizzano segni distintivi in tutto o in parte coincidenti con quelli del fabbricante, anche se non fabbricano il prodotto né si presentano al consumatore come fabbricanti ai sensi del Regol. UE 2017/745 e del Regol. UE 2017/746.
Vediamo di cosa si tratta e quali potrebbero essere le ricadute.
Innanzitutto, come chiarito in un nostro precedente contributo, quando si parla di “responsabilità da prodotto difettoso” si intendono solo le azioni di risarcimento danni promosse dai consumatori (cioè che agisce per scopi estranei all’attività professionale e/o imprenditoriale), con esclusione quindi dei rapporti B2B (sul punto si veda il nostro articolo "Le tipologie di responsabilità (civile) nella commercializzazione dei dispositivi medici difettosi"
La Direttiva 85/374/CEE consente al consumatore che subisce dei danni (economici e non) a causa dell’acquisto di un prodotto difettoso di chiedere un risarcimento a tutti i soggetti che rientrano nella definizione di “produttore”. La definizione è riportata nel successivo art. 3, comma 1:
“Il termine «produttore» designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso."
Come avevamo già segnalato nel nostro precedente contributo, la Corte di Giustizia più volte si è soffermata sull’interpretazione della disposizione. In particolare, la Corte di giustizia UE ha chiarito che rientri nella definizione di “produttore”:
“Il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte di componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso” (Cfr. Corte Giustizia UE, sentenza C-264/21).
Secondo la giurisprudenza europea, quindi, è “produttore” chiunque appone il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o autorizzi tale apposizione. Come peraltro chiarito dalla sentenza in commento, infatti, la definizione di “produttore” ai sensi dell’articolo 3 Paragrafo 1, della direttiva 85/374 “non richiede che la persona che ha apposto il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, o che ha autorizzato tale apposizione, si presenti anche come il produttore dello stesso in qualsiasi altro modo”.
È sufficiente che l’operatore economico apponga o autorizzi il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, senza che rilevi il “vero” produttore e/o le modalità attraverso le quali l’operatore si presenta al consumatore.
Ma quali responsbilità in capo al distributore di dispositivi medici o diagnostici in vitro che non apponga o autorizzi sul prodotto alcun segno distintivo, ma abbia denominazione, ragione sociale o altro segno distintivo in tutto o in parte coincidente con quello del fabbricante?
Questa è la domanda che la Corte di Cassazione ha rivolto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per valutare in sostanza se debba esservi una responsbilità anche di questi soggetti.
Ma andiamo per ordine.
Il caso
Un consumatore acquistava un’automobile che gli arrecava danni in seguito ad un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’airbag della vettura. Veniva dunque chiamata a risarcire il danno la compagnia automobilistica che il consumatore riteneva essere la produttrice del veicolo (che denomineremo con lo pseudonimo “ALFA Italia S.p.a.”).
ALFA Italia S.p.a. contestava la sua responsabilità in quanto “Produttore” ed unico responsabile dell’accaduto ai sensi della Direttiva 85/374/CEE doveva intendersi solo la “casa madre” tedesca (che denomineremo con lo pseudonimo “ALFA”).
Il Tribunale di primo grado e la Corte di Appello, sebbene con motivazioni diverse, davano ragione al consumatore ritenendo responsabile ALFA Italia S.p.a. in base ad una interpretazione dell’art. 3, comma 1, Direttiva 85/374/CEE.
Alfa Italia S.p.a. ricorreva per Cassazione.
Il quesito della Corte di Cassazione alla Corte di Giustizia UE
La Corte di Cassazione ha ritenuto prioritario interpellare direttamente la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sulla corretta interpretazione giuridica dell’art. 3, comma 1 della Direttiva 85/374/CEE. In particolare, è stato posto il seguente quesito all’organo giurisdizionale europeo:
“La Corte, visto l’articolo 267 TFUE, chiede alla Corte di giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi, in via pregiudiziale, sulla seguente questione di interpretazione del diritto dell’Unione Europea: se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore”.
Il quesito della Corte è volto in sostanza ad acquisire una decisione dalla Corte di Giustizia che dica - una volta e per tutte – se il venditore di un prodotto possa essere ritenuto responsabile in caso di danni da prodotto ai sensi della Dir. 85/374/CEE per il sol fatto che utilizzi una denominazione/ragione sociale/marchio in tutto o in parte coincidente con quella del produttore. Nel caso di specie, infatti, ALFA Italia si era limitata a vendere il veicolo ma non era il produttore la cui qualifica invece restava in capo alla casa madre tedesca ALFA né tantomeno aveva apposto (o autorizzato) il proprio marchio (il prodotto, ovviamente, recava solo ALFA della casa madre).
Il riscontro da parte della Corte di Giustizia impatterà sulle sedi territoriali europee di cui si avvalgono le grandi multinazionali per la distribuzione dei dispositivi medici o diagnostici in vitro. Difatti, qualora la Corte di Giustizia fornisse una interpretazione estensiva del regime di responsabilità, questi soggetti diverrebbero automaticamente responsabili dei danni collegati al prodotto venduto, per il semplice fatto di utilizzare nella propria attività un segno distintivo in tutto o in parte coincidente con quello del fabbricante.
Quali indicazioni utili trarre?
In attesa della decisione della Corte di Giustizia UE, si possono trarre alcune considerazioni utili.
Fondamentale sarà anzitutto per le società che fanno parte di multinazionali tutelarsi nei contratti e prevedere garanzie a loro favore che gli assicurino di non subire conseguenze pregiudizievoli dalle azioni di risarcimento danni promosse dal consumatore in caso di prodotto difettoso dannoso. In particolare, il distributore di dispositivi medici o diagnostici in vitro dovrebbe sempre vantare il diritto di essere manlevato dalla “casa madre” nel caso un consumatore chieda direttamente i danni da prodotto difettoso ai sensi della Dir. 85/374/CEE.
Peraltro, anche nei casi in cui l’operatore economico non rientri nella definizione di “produttore”, si potrebbe comunque configurare una responsabilità in capo al distributore di dispositivi medici o diagnostici in vitro. La seconda parte dell’art. art. 3, comma 1, stabilisce infatti:
Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest'ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l'identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. Le stesse disposizioni si applicano ad un prodotto importato, qualora questo non rechi il nome dell'importatore di cui al paragrafo 2, anche se è indicato il nome del produttore”.
Dalla disposizione ricaviamo che saranno sempre responsabili, oltre agli importatori, anche tutti i distributori che non comunicano al danneggiato l’identità del Fabbricante entro un termine ragionevole; termine che l’art. 116 del Codice del Consumo Italiano fissa in tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto dallo stesso consumatore. Occorrerà pertanto assicurarsi che il proprio sistema organizzativo consenta l’identificazione corretta del fabbricante e di riscontrare la richiesta del consumatore entro il termine predetto.