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Il risk management dei dispositivi medici alla luce della legge Gelli-Bianco sulla responsabilità sanitaria
Con l’entrata in vigore del Decreto 232/2023 si è finalmente dato attuazione all’ultima parte della legge numero 24/2017 con particolare riferimento alla responsabilità e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. L’inevitabile effetto che questo nuovo decreto produrrà sul risk management e sui rapporti con le compagnie assicurative per la responsabilità professionale permette di approfondire la correlata tematica relativa alla responsabilità derivante dall’utilizzo di dispositivi medici utilizzati dalle strutture sanitarie e, in particolare, come tale decreto potrebbe impattare sui sanitari che utilizzano questa particolare tipologia di prodotti.
Cosa cambia con il nuovo decreto “Polizze”
Come noto, il (tanto atteso) decreto 232/2023 ha dato definitiva attuazione alle ultime parti, ancora inattuate, della legge numero 24/2017 (legge “Gelli-Bianco”): in particolare, il decreto ha determinato, oltre un nuovo contenuto per le polizze delle strutture sanitarie (inclusi i limiti minimi dei massimali), anche le modalità organizzative e di attuazione del risk management. Tra le novità che rilevano in relazione alla normativa dei dispositivi medici, vi sono certamente le nuove disposizioni attuative che hanno introdotto regole specifiche sulla responsabilità e gestione del rischio sanitario che tutte le strutture sanitarie dovranno osservare per prevenire ed analizzare il rischio clinico.
L’uso dei dispositivi
Sul punto, è pacifico che il rischio clinico possa derivare, non solo da condotte attive e/o omissive dirette dei sanitari, ma anche dall’uso di dispositivi medici difettosi, ovvero contrario alle indicazioni fornite dal fabbricante del dispositivo. L’analisi di questi due profili correlati risulta ancora più importante in ragione del fatto che il Regolamento Ue 2017/745 sulla commercializzazione dei dispositivi medici (e del Dlgs 137/2022 che ha adeguato in Italia il Regolamento) ha di fatto innalzato i requisiti di sicurezza e prestazione di questa particolare tipologia di prodotti, nonché previsto obblighi specifici in capo a tutti gli operatori sanitari nella gestione degli incidenti.
La sicurezza delle cure secondo la legge Gelli-Bianco
La norma di riferimento si trova nell’articolo 1, comma 2, della Legge Gelli-Bianco secondo cui:
- “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”.
- “La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative”.
- “Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale”.
È dunque la stessa Legge Gelli-Bianco ad aver introdotto l’obbligo delle strutture sanitarie di prevenire e gestire il rischio clinico anche se dovuto all’utilizzo “non appropriato” di risorse “strutturali, tecnologiche e organizzative”. Tale obbligo ricomprende anche i rischi derivanti dall’uso dei dispositivi medici che sono quotidianamente utilizzati dalle strutture sanitarie per erogare prestazioni a favore dei propri pazienti. Di conseguenza, la sicurezza delle cure dovrà essere garantita al paziente anche attraverso una gestione del rischio clinico che assicuri, in un’ottica preventiva, l’uso diligente, perito e prudente dei dispositivi medici.
Quando la Legge Gelli Bianco richiede alle strutture sanitarie un “utilizzo appropriato”, individua tre macrocategorie di responsabilità in cui potrebbe incorrere il sanitario. Ecco quali sono:
Errato utilizzo di dispositivi medici
La prima forma di responsabilità concerne un errato utilizzo dei dispositivi medici, intendendosi in particolare l’uso di dispositivi in violazione delle indicazioni fornite dal fabbricante. Tra le indicazioni che il sanitario dovrà verificare si devono richiamare quelle trasfuse nella documentazione del dispositivo medico disciplinata dal Regol. UE 2017/745 (MDR) e, in particolare:
- la “destinazione d’uso” definita dall’articolo 2, n. 12, MDR “l’utilizzo al quale è destinato un dispositivo secondo le indicazioni fornite dal fabbricante sull’etichetta, nelle istruzioni per l’uso o nel materiale o nelle dichiarazioni di promozione o vendita e come specificato dal fabbricante nella valutazione clinica”
- le “istruzioni per l’uso” definita dall’articolo 2, n. 12, MDR “le informazioni fornite dal fabbricante per far conoscere all’utilizzatore la destinazione d’uso e l’uso corretto di un dispositivo e le eventuali precauzioni da adottare”
Tanto l’utilizzo del dispositivo al di fuori della destinazione d’uso stabilita dal fabbricante (uso off label), quanto la violazione delle istruzioni per l’uso nel corso dell’utilizzo del dispositivo, potrebbero comportare per il medico una responsabilità sanitaria tutte le volte in cui il danno cagionato ne sia conseguenza immediata e diretta.
Vizi manifesti e occulti del dispositivo
Una seconda forma di responsabilità è invece quella derivante dall’utilizzo di dispositivi medici difettosi. Benché sia diffusa l’opinione secondo cui in caso di vizio di un dispositivo risponda esclusivamente il produttore e/o l’operatore economico che lo commercializza, si deve rilevare che le strutture sanitarie potrebbero rispondere anche nel caso di difetti del dispositivo, a prescindere dal ruolo svolto nella fabbricazione del dispositivo medico difettoso. Sotto tale punto di vista, particolare rilievo va accordato alle sentenze in materia di utilizzo da parte dei sanitari di dispositivi medici difettosi, in cui la Cassazione ha precisato che il sanitario risponde dei danni causati al paziente da un dispositivo medico difettoso quando non ha adottato tutti gli “accorgimenti necessari ad accertare il regolare funzionamento del prodotto” (Cfr. Cass. civ., Sez. III., n. 31966/2018). Da questo arresto giurisprudenziale, è logico dedurre un doppio regime di responsabilità in caso di utilizzo dannoso di dispositivi medici difettosi.
Da un lato, va precisato come la giurisprudenza in materia abbia il più delle volte fatto espresso riferimento ad ipotesi in cui la difettosità del dispositivo medico – da cui trae origine il danno – sia riconoscibile a causa di evidenti alterazioni di tipo strutturale. In tale ipotesi di responsabilità, dunque, il sanitario è stato chiamato a rispondere per non aver riscontrato adeguatamente vizi manifesti e, più precisamente, “segni di lavorazione grossolana e di usura sui fianchi e sulla base dei perni”. Dall’altro lato, il principio in questione comporta una seconda ipotesi di responsabilità, questa volta collegata ai vizi occulti di un dispositivo medico. Difatti, nel caso in cui il difetto del dispositivo non si palesi in maniera manifesta, diventa fondamentale provvedere all’individuazione di tutta quella serie di attività di controllo che gravano sul sanitario per andare esente da responsabilità. Si segnala a tal fine come il Ministero della Salute abbia diramato la raccomandazione numero 9 dell’aprile 2009 diretta alla riduzione dei rischi connessi all’uso dei dispositivi medici, mediante un’adeguata attività di manutenzione elevato a strumento di prevenzione degli eventi avversi. L’importanza fondamentale delle attività di manutenzione sono state confermate anche dalla risalente giurisprudenza, la quale, in un precedente della Corte di Appello di Napoli, ha sancito l’irregolarità delle prassi secondo cui “veniva conferita piena discrezionalità all’ufficio tecnico nell’opzione di sottoporre le macchine a manutenzione programmata o su richiesta, sì che in alcuni casi, come quello di specie, le macchine elettromedicali, sebbene vetuste, venivano sottratte a qualsivoglia manutenzione per periodi addirittura superiori ad un anno” (Cfr. App. Napoli n. 5494/2001).
L’importanza della manutenzione
In linea con l’(ulteriore) implementazione della gestione del rischio realizzata dal decreto attuativo della Legge Gelli, fondamentale importanza andrebbe allora accordata allo svolgimento dell’attività di manutenzione delle tecnologie biomediche. Considerata infatti l’evoluzione dell’attività manutentiva delle tecnologie biomediche verso una “vera e propria funzione manageriale volta alla riduzione dei rischi connessi all’uso dei dispositivi medici” (Cfr. raccomandazione n. 9, aprile 2009, Ministero Salute) la predisposizione di un apposito piano documentato e periodicamente verificato per la manutenzione e le verifiche di sicurezza delle tecnologie – che tenga conto del rischio, delle criticità e delle funzioni delle apparecchiature utilizzate dalla struttura – sembra pienamente condividere gli obiettivi di risk management perseguiti dalla Legge Gelli, poiché finalizzata a garantire l’utilizzo dei dispositivi in piena sicurezza e la (conseguente) riduzione di incidenti associati al loro utilizzo.
Altri casi di responsabilità
In conclusione, in ossequio a quanto sopra, il sanitario potrebbe essere responsabile nei seguenti casi:
- violazione destinazione d’uso e/o istruzioni per l’uso del fabbricante del dispositivo medico;
- utilizzo di dispositivi medici che presentano difetti manifesti o quantomeno visibili ad occhio nudo;
- utilizzo di dispositivi medici che presentano difetti occulti rilevabili attraverso adeguate attività di controllo, monitoraggio e manutenzione
Il risk management quale rimedio preventivo contro i profili di responsabilità sanitaria nell’utilizzo di dispositivi medici
Al fine di evitare di incorrere nei casi di responsabilità sanitaria suddetta, un utile strumento è dunque rappresentato dal risk management disciplinato dall’articolo 1, comma 539, Legge 208/2015, come modificato dagli articoli 2 e 16 della Legge Gelli. Da una lettura combinata della Legge 208/2015 e della Legge Gelli, si può definire risk management il sistema di qualità diretto ad assicurare lo svolgimento delle funzioni di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio clinico. In particolare, gli obiettivi possono essere così riassunti:
- svolgimento di audit interni
- studio di processi interni, delle criticità e/o dei quasi-errori
- analisi delle attività necessarie per mettere in sicurezza i percorsi sanitari
- rilevazione rischi di inappropriatezza nei percorsi diagnostici e terapeutici
- facilitazione dell’emersione di eventuali attività di medicina difensiva
- sensibilizzazione e formazione del personale (anche extramoenia) sulla prevenzione del rischio sanitario
- qualità della gestione di un sinistro con legali di fiducia e con le compagnie assicurative
- predisposizione di una relazione annuale consuntiva sugli eventi avversi verificatisi all’interno della struttura, sulle cause che hanno prodotto l’evento avverso e sulle conseguenti iniziative messe in atto.
Pacifico come lo svolgimento di queste attività in modo appropriato potrebbe esonerare la struttura sanitaria dai profili di responsabilità sopra esaminati, a condizione che le strutture sanitarie, nell’ambito delle attività di risk management, assicurino quantomeno:
- la compatibilità tra destinazione d’uso stabilita dal fabbricante e trattamento sanitario eseguito con il dispositivo medico;
- la conformità delle istruzioni per l’uso ai sensi dell’Allegato 1, punto 23.4. MDR;
- l’assenza di difetti del dispositivo medico
- attività di controllo, monitoraggio e di manutenzione dei dispositivi medici volte a rilevare l’esistenza di eventuali difetti
Tali attività – evidentemente – richiedono alle strutture sanitarie competenze e specializzazioni diverse da quelle strettamente mediche, come quelle ingegneristiche, regolatorie e legali.
Gli strumenti del risk management
Come accennato, con il recente Decreto 232/2023 attuativo della legge Gelli, il legislatore ha dato attuazione ad ulteriori disposizioni incompiute e, in particolare, ha introdotto norme dirette a regolare la fase patologica dei sinistri e cioè la gestione delle pratiche di responsabilità avviate dai pazienti nei confronti delle strutture sanitarie. In continuità con un nostro precedente contributo si segnalano le nuove attività che le strutture sanitarie dovrebbero svolgere in relazione ai dispositivi medici utilizzati:
- stipula di polizza assicurativa (articoli 3-8 e 14-15), ovvero, in alternativa, assunzione diretta del rischio “cause” attraverso la costituzione di un “Fondo rischi” e di un “Fondo riserva sinistri”(9-13), tenuto conto dei dispositivi medici presenti in struttura nonché del rischio potenziale correlato al loro utilizzo;
- costituzione interna o esterna di un Comitato di valutazione sinistri (articolo 16) che comprenda specialisti del settore che siano in grado di valutare sul piano medico-legale, nonché clinico e giuridico, la pertinenza e la fondatezza delle richieste risarcitorie indirizzate alla struttura a causa dell’utilizzo di dispositivi medici
- analisi prospettica dei rischi derivanti da possibili cause di responsabilità sanitaria dovute all’utilizzo di dispositivi medici (articolo 17)
Nello svolgere queste nuove attività, quindi, la struttura dovrà attentamente valutare i dispositivi medici di cui si serve per identificare quale possa essere il rischio derivante dal loro utilizzo, il quale, evidentemente, sarà più o meno alto a seconda della loro classe di rischio. Si segnala al riguardo come i dispositivi medici si distinguano in quattro classi principali differenti (I, IIa, IIb e III) individuate nell’Allegato 8 MDR sulla base del potenziale rischio corso dal paziente che li utilizza.
ARTICOLO PUBBLICATO SU ABOUTPHARMA
Rubrica "I DISPOSITIVI MEDICI TRA NORMATIVA E REGOLATORIO"
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