Già a marzo riflettevamo in punto di responsabilità penale del sanitario in caso di eventi avversi a seguito di somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2 nell'articolo "Vaccinazioni anti- Covid-19 e responsabilità medica: riflessioni ai tempi della pandemia".
Oggi riprendiamo il tema, in virtù della recente conversione avvenuta con la legge n. 76/2021 del decreto legge 44/2021 il quale all’art. 3 introduceva - in caso di lesioni colpose o morte del paziente - una ipotesi di non punibilità in favore dei vaccinatori, laddove fossero state rispettate “le indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio e nelle circolari del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.
Anche a seguito delle lagnanze di alcune associazioni di categoria, la legge di conversione giunge ora ad ampliare il campo di applicazione dell’esenzione da responsabilità, estendendola a tutti gli esercenti la professione sanitaria nell’ambito della fase emergenziale da Covid-19.
L’art. 3-bis difatti prevede che:
1. Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave.
2. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, delle limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.
In altri termini, si determina una ri-parametrazione della responsabilità penale in capo agli esercenti le professioni sanitarie per i fatti di omicidio e lesioni causalmente riconducibili alla pandemia da Covid-19, circoscrivendola alla sola colpa grave.
In merito, l’art. 590-sexies c.p. già prevedeva una causa di esclusione della responsabilità per l’esercente la professione sanitaria per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualora l’evento si fosse verificato per imperizia (riferibile all’atto esecutivo) e fossero state rispettate le linee guida purchè adeguate al caso concreto.
Pur tuttavia, questa ristretta area di non punibilità è apparsa inadeguata rispetto alla situazione emergenziale connessa alla diffusione del virus Covid-19.
La norma in commento invece prevede una causa di esclusione della responsabilità per colpa non grave generalizzata, in quanto includente anche quelle ipotesi riconducibili ai casi di negligenza e di imprudenza.
Ma come può escludersi la colpa grave?
L’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione ha emanato una relazione che individua
tre criteri indicativi che permettono astrattamente di escludere la gravità della colpa:
“a) la limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2, che può incidere tanto sull’esatto quadro patologico quanto, conseguentemente, sulle più appropriate terapie (ad es. omessa somministrazione di eparina quando ancora non si conosceva il meccanismo patogenetico del SARS-CoV-2 attivante coagulopatia; o somministrazione farmacologica off-label per cura Covid-19, basata solo su un approccio razionale e non su letteratura internazionalmente accreditata, perché ancora assente);
b) la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero di casi da trattare, che può riflettersi sull’adeguata gestione e cura dei pazienti (si pensi, ad es., alla morte avvenuta in un covidario, cioè in un luogo più o meno acconcio dove veniva collocato il paziente Covid dopo la visita in Pronto soccorso e in attesa del ricovero nel reparto di destinazione, non disponibile perché già saturo);
c) il minor grado di esperienza e di conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza, che si riverbera sulla misura soggettiva di rimproverabilità (si pensi, ad es., all’esordio dell’epidemia, al mancato isolamento di un paziente sintomatico Covid-19 da parte da parte di un medico non infettivologo, con conseguente diffusione del virus e successive malattie delle persone entrate in contatto col paziente). In tale ipotesi, la mancanza di un’adeguata specializzazione, da parte del sanitario chiamato a prestare servizio nel contesto emergenziale (ad es. nei reparti Covid), non potrà essere valutata alla stregua degli stessi indici di gravità della colpa per assunzione valevoli in contesti non emergenziali.”
In quanto più favorevole, come nel caso dell’art. 3 del decreto legge per i vaccinatori, la norma assume una efficacia retroattiva ma la sua portata risulta limitata alla fase emergenziale così come dichiarata dalla delibera del Consiglio dei Ministri del 31.01.2020 e successive proroghe, entro la quale - è bene ribadirlo - dovrà ricadere la condotta e non l’evento (che ben potrebbe realizzarsi in un secondo momento).
Una norma questa che appare interessante non solo per i suoi profili attuali, ma perché offre uno spunto di riflessione sul valore da attribuire alle linee guida ogni qualvolta il grado di incertezza scientifica non consenta di individuare una strada chiara e lineare. E l’emergenza Covid ne è un tragico esempio.