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Il Codice di deontologia medica impone delle regole da rispettare per il “tele-medico”?
Ultimamente tutto il settore sanitario sta guardando con particolare attenzione alla telemedicina; un interesse nato durante la fase più critica dell’emergenza epidemiologica come una necessità, ma che oggi si sta trasformando in una riflessione circa l’opportunità che l’approccio assistenziale a distanza può riservare alla professione medica e ai pazienti.
Nell'interessarsi alla materia, i professionisti tendono ad approfondire gli aspetti della responsabilità medica e della tutela dei dati personali, ma pochi (sbagliando) si soffermano sulla responsabilità deontologica che impatta sul medico intenzionato a questo nuovo modo di prestare assistenza a distanza.
Andiamo per ordine.
Esistono dei precetti nel Codice deontologico dei medici e odontoiatri riservati alla telemedicina?
La risposta non può che essere affermativa.
Sebbene in sede di chiusura, il Codice di deontologia medica dedica l’art. 78 alla “Informatizzazione e innovazione sanitaria”, precetto che, per completezza, si ritiene opportuno dover riportare:
“Il medico, nell’uso degli strumenti informatici, garantisce l’acquisizione del consenso, la tutela della riservatezza, la pertinenza dei dati raccolti e, per quanto di propria competenza, la sicurezza delle tecniche.
Il medico, nell’uso di tecnologie di informazione e comunicazione di dati clinici, persegue l’appropriatezza clinica e adotta le proprie decisioni nel rispetto degli eventuali contributi multidisciplinari, garantendo la consapevole partecipazione della persona assistita.
Il medico, nell’utilizzo delle tecnologie di informazione e comunicazione a fini di prevenzione, diagnosi, cura o sorveglianza clinica, o tali da influire sulle prestazioni dell’uomo, si attiene ai criteri di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e sicurezza, nel rispetto dei diritti della persona e degli indirizzi applicativi allegati.”
Dalla lettura della norme, evidente è il fatto che la stessa, nonostante esplicitamente non la menzioni, sia stata formulata pensando alla telemedicina.
Gli indirizzi applicativi dell’art. 78 tentano di spiegare l’approccio che deve avere il professionista nell’utilizzare gli strumenti informatici per fini di assistenza e cura e in particolare viene specificato:
Il medico, facendo uso dei sistemi telematici, non può sostituire la visita medica, che si sostanzia nella relazione diretta con il paziente, con una relazione esclusivamente virtuale; può invece utilizzare gli strumenti di telemedicina per le attività di rilevazione o monitoraggio a distanza, dei parametri biologici e di sorveglianza clinica”.
Leggendo quanto sopra, sorge subito spontaneo chiedersi: cosa si intende per relazione virtuale?
Il fatto che il medico non veda mai di persona il paziente o l’estremo automatismo di un sistema di cura che avviene tramite mezzi informatici e digitali?
E ancora.
Eccetto per quelle terapie esigenti il necessario ausilio fisico del professionista sanitario, per gli altri percorsi di cura quale sarebbe il presupposto indefettibile per cui si arriva a dichiarare che la relazione diretta sia, di fatto, solo quella che si esaurisce di persona?
Tali interrogativi non possono trovare in questa sede una immediata risposta, ma vi è un dato certo: se si dovesse adottare una interpretazione troppo rigida dell’indirizzo applicativo verrebbe meno uno degli obiettivi primari che si prefissa la telemedicina, ovvero quello di evitare il necessario bisogno di una assistenza sanitaria “dal vivo”.
Non solo: ritenere di non poter svolgere un percorso di cura o prevenzione dall’inizio alla fine a distanza sembra essere un pensiero contro corrente rispetto all’avanzata, sempre più tecnologica, degli strumenti presenti nel mercato sanitario e la cui dotazione, oggi, diventa fondamentale per offrire delle cure di eccellenza.
La specifica dell’indirizzo applicativo qui discusso, inoltre pare far emergere, ancora una volta, l’idea di una attività assistenziale legata all’imprescindibile presupposto di un rapporto fiduciario medico-paziente capace di svilupparsi solo di persona e, al contempo, la convinzione che gli strumenti informatici, sebbene innovativi, siano solo eventuali ma non indispensabili durante l’assistenza sanitaria.
In ogni caso, sebbene dal Codice deontologico emerga una telemedicina considerata quasi una scelta “secondaria” rispetto a quella ordinaria, o comunque parziale, è importante sottolineare come, sotto il profilo disciplinare, venga sancito che nell’espletamento dell’attività sanitaria a distanza il medico deve seguire le stesse regole deontologiche previste per l’attività “di persona”.
Pertanto, nonostante le perplessità riportate, che si spera possano essere del tutto eliminate in un prossimo aggiornamento codicistico, la telemedicina, sia tramite l’art. 78, sia tramite le altre regole deontologiche applicabili generalmente all’espletamento dell’attività sanitaria, è attualmente regolamentata anche da un punto di vista deontologico.
Da ciò discende l’obbligo per il “tele-medico” di tenere in debita considerazione, nell’espletamento delle prestazioni sanitaria a distanza, non solo le linee guida e le norme peculiari di riferimento, ma altresì le prescrizioni contenute nel Codice deontologico, la cui violazione potrebbe portare all’apertura di un procedimento disciplinare.
Rubrica "Sanità Digitale"
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