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Il teleconsulto in ambito sanitario: quali profili di responsabilità?

18/05/2020
Silvia Pari

In un momento storico come quello attuale, nel quale anche la medicina (o, almeno, quella di elezione) si è dovuta confrontare con il tema del distanziamento sociale, la c.d. “telemedicina” ha senz’altro rappresentato una grande opportunità ma anche, sotto alcuni profili, una grande sfida.

Se è vero, infatti, che la possibilità di connettere pazienti e medici attraverso App e piattaforme digitali ha consentito di mantenere attivo e vitale il rapporto medico-paziente, nonché di dare continuità ai percorsi di cura – laddove possibile – e ciò nelle modalità della “televisita” o “teleconsulto”, non sono mancate (e tutt’ora non mancano) le preoccupazioni per quanto riguarda l’affidabilità dei sistemi, la sicurezza degli strumenti tecnologici prescelti e, in ultimo, i possibili profili di responsabilità legati a questa “nuova” modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie.

A tale riguardo occorre effettuare una prima, doverosa, premessa.

Occorre, cioè, sfatare il mito secondo il quale erogare una prestazione sanitaria a distanza sia più pericoloso, dal punto di vista della responsabilità professionale, che erogarla di persona, ossia in presenza del paziente. In altre parole, occorre avere ben presente che non è lo strumento in sé a incidere sul grado e/o sull’entità della responsabilità, ma, come sempre, è il modo in cui lo si utilizza a fare la differenza.

Vediamo perché.

Il tema della c.d. “telemedicina” è preso in considerazione dalla più recente disposizione normativa in tema di responsabilità professionale sanitaria, ossia la L. n. 24/2017 (meglio nota come Legge “Gelli”), ove, all’art. 7, nel dettare le regole per il riparto della responsabilità fra struttura sanitaria e singolo esercente, è pacificamente previsto che la prestazione possa essere erogata anche in forma “digitale”, ossia ricorrendo agli strumenti della telemedicina.

Il richiamo esplicito a questa modalità di erogazione della prestazione fa sì che per i consulti effettuati “a distanza” valgano le medesime regole previste con riguardo alle modalità tradizionali di visita, ossia quelle in compresenza, applicandosi a entrambe analoga disciplina.

Se è vero, dunque, che, dal punto di vista normativo, non vi sono differenze per quanto attiene al tema della responsabilità professionale, ciò che rileva è, evidentemente, il modo in cui si utilizza la tecnologia, ossia lo strumento, e la scelta che si opera in tal senso.

Il professionista sanitario, in altre parole, deve sempre adottare la soluzione operativa che offra le migliori garanzie di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e sicurezza e, soprattutto, deve valutare se le specifiche circostanze del singolo caso concreto rendono possibile ricorrere a un servizio a distanza. In tal senso, occorre, dunque, evitare di ricorrere allo strumento della televisita/del teleconsulto se, in scienza e coscienza, si ritiene di non essere in grado di fornire una risposta certa e ciò per via della patologia clinica del paziente oppure in ragione della inadeguatezza dei mezzi a disposizione. 

Rubrica "Sanità Digitale e Intelligenza Artificiale"

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