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Per il Trattamento Sanitario Obbligatorio è necessario il consenso informato alle cure? La parola alla Terza Sezione della Cassazione
Con l’ordinanza in commento, i Giudici della Cassazione definiscono il (labile) equilibrio tra l’ospedalizzazione in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio e la necessità (o meno) di ottenere il consenso informato del paziente.
All’esito di una complicata vicenda giudiziaria, la Corte arriva infatti a chiarire che il “Trattamento Sanitario Obbligatorio”, da considerarsi un evento terapeutico straordinario finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente, “può essere disposto anche il senza il consenso informato dello stesso, ove, a fronte di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, non sia possibile adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere e il paziente rifiuti gli interventi terapeutici proposti.”
Per comprendere il percorso argomentativo dei Giudicanti, risulta necessario ripercorrere brevemente gli elementi fattuali che hanno contraddistinto la vicenda giudiziaria.
Il giudizio giunge davanti alla terza sezione civile della Cassazione a causa della decisione, assunta dalle Autorità competenti, di trattenere coattivamente presso i locali di una struttura sanitaria un paziente, che, ivi recatosi per il ritiro della propria cartella clinica, manifestava i sintomi di un disturbo cronico in fase di scompenso. Il paziente rifiutava inizialmente gli interventi terapeutici dei medici della struttura, accettandone la prosecuzione solo dopo due settimane.
Successivamente, il paziente curato in regime di TSO adiva pertanto il Giudice civile per il risarcimento dei danni da mancato consenso informato. La domanda attorea veniva rigettata sia in primo grado, sia in secondo grado.
La Terza Sezione della Cassazione, chiamata così a dirimere la questione processuale, parte dall’inviolabile assunto che “il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza", ovvero che non "si tratti di trattamento sanitario obbligatorio".
Osserva la Corte che l’ospedalizzazione in regime di Trattamento Sanitario Obbligatorio per un disturbo mentale configura un evento contraddistinto da problematicità, essendo associato a una condizione di incapacità del paziente a prestare un valido consenso. Al riguardo, la Corte è tuttavia ben consapevole della dicotomia che vi può essere tra la capacità e incapacità prevista tout court dall’assetto normativo e la realtà clinica che, invece, suggerisce che possano esistere spazi di autonomia e libertà decisionale residui anche in pazienti sottoposti a Trattamenti Sanitari Obbligatori.
In tal senso, il Collegio, in linea con le disposizioni di settore, raccomanda un approccio multidimensionale, basato quindi sulla valutazione, nel singolo paziente della capacità effettiva del paziente di prestare un consenso alle cure e, pertanto, di porre in essere ogni attività possibile per ottenerlo.
Tuttavia, esistono alcune condizioni nelle quali si può prescindere dal consenso del paziente e tra queste vi sono quelle espressamente previste per il Trattamento Sanitario Obbligatorio di cui agli artt. 34 e 35, L.n. 833/1978.
In particolare, ribadisce la Corte, si può intervenire
“con un Trattamento Sanitario Obbligatorio anche a prescindere dal consenso del paziente se sono contemporaneamente presenti tre condizioni, ovvero l'esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, la mancata accettazione da parte dell'infermo degli interventi terapeutici proposti e l'esistenza di condizioni e circostanze che non consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extra-ospedaliere”.
In altri termini, il Trattamento Sanitario Obbligatorio è un evento straordinario finalizzato alla tutela della salute mentale, da non considerare una misura di difesa sociale, e che deve essere attivato solo dopo aver esperito ogni iniziativa possibile per ottenere il consenso del paziente a un intervento volontario e, solo laddove, ricorrano le condizioni previste dalla legge i sanitari possono procedere in senso difforme.
Nella vicenda in esame, i Giudici, enunciato il principio di diritto di cui sopra, hanno ritenuto pertanto corretto l’operato delle Autorità valutata la presenza delle condizioni ostative all’ottenimento del consenso e quindi rigettato definitivamente la domanda del paziente.
L’intervento della Cassazione ha sicuramente il merito di approfondire il precario equilibrio che molto spesso coinvolge le autorità, i curanti e i pazienti in materia di trattamenti sanitari obbligatori e consenso informato.
Tuttavia, non si può non concludere con una riflessione finale.
Se per i trattamenti sanitari obbligatori si può fare riferimento a una specifica disciplina, quale potrebbe essere la posizione della Cassazione per quei casi di pazienti formalmente capaci ma non in grado di rilasciare un valido e obbligatorio consenso informato?