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SIAMO PROPRIO SICURI CHE, ANCHE DOPO LA RIFORMA FORNERO, NON POSSA VEDERSI REINTEGRATO IL LAVORATORE LICENZIATO ?

21/02/2013

Dopo la nota “riforma Fornero” del giugno 2012, ecco la prima ordinanza del Tribunale di Bologna – Sezione Lavoro in materia di licenziamenti disciplinari, con applicazione del nuovo art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. La nuova disciplina dei licenziamenti nelle aziende che occupano più di 15 dipendenti ha mutato le conseguenze dell'ccertamento giudiziale d'illegittimità del licenziamento stesso; vero è infatti che, a mente del nuovo 5° comma dell'art.18 dello Statuto dei Lavoratori, in ipotesi d'illegittimità del provvedimento datoriale lo stesso datore di lavoro, in luogo della reintegra del lavoratore, può essere – tutt'al piu' - condannato al versamento di un'indennità ricompresa tra le 12 e le 24 mensilità dell'ultima retribuzione percepita. Però, e qui giova ricordarlo, il comma 4 del medesimo art.18 conserva invece l'obbligo di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro tutte le volte in cui il licenziamento faccia seguito ad una contestazione che, in fase istruttoria, si concluda con una “insussistenza del fatto contestato”. Ed è proprio questa l'ipotesi (residuale) utilizzata invece dal giudice felsineo nell'ordinanza in commento; il magistrato ha infatti ritenuto che l'episodio oggetto di addebito (e motivo del provvedimento di licenziamento) posto a carico del lavoratore fosse “inconsistente” e di conseguenza ha disposto – in luogo del risarcimento – la (ben più cogente) condanna alla reintegrazione del lavoratore, avendo ritenuto di non poter prescindere dall'elemento soggettivo della contestazione e cioè “dalla evidente modestia dell'episodio in questione, dalla sua scarsa rilevanza offensiva e dal suo modestissimo peso disciplinare”. Come noto la “Riforma Fornero” aveva proprio l'”intenzione” di limitare le ipotesi di reintegrazione ad un'assenza “oggettiva” del fatto addebitato (ovvero la non verificazione) e quindi senza che, in ordine allo stesso, il giudice potesse svolgere una valutazione “soggettiva” del fatto concreto ciò in quanto, per quest'ultima, era riservata la soluzione prevista al 5° comma della L.n. 300/70, che puniva l'obiettiva scarsa rilevanza del fatto non con la reintegra ma con una (importante) sanzione risarcitoria, addirittura fino a 24 mensilità dell'ultima retribuzione percepita. E' dunque evidente come, nel ragionamento del giudice bolognese, si sia inteso perseguire quel filone giurisprudenziale (abbracciato anche da gran parte delle pronunce della Corte Costituzionale) che “premia” il principio di ragionevolezza, ovvero del rispetto dei canoni di diligenza e buona fede cui le parti (e anche il magistrato) devono necessariamente attenersi nell'interpretazione (ed applicazione) delle norme. Da qui la conclusione secondo cui, proprio in applicazione del suddetto principio, la valutazione circa la sussistenza dell'addebito dev'essere svolta sia sull'elemento oggettivo che su quello soggettivo, non potendo neanche arrivare a valutare la possibilità di applicare il successivo 5° comma (risarcimento monetario) tutte le volte in cui la soluzione interpretativa sia anticipata dal 4° comma, cioè quella della reintegra sul posto di lavoro. A questa prima pronuncia siamo certi che ne seguiranno altre, certamente anche di segno opposto, ed allora sarà sicuramente utile capire l'orientamento dei giudici di legittimità per comprendere se anche questa Riforma del Lavoro sarà da considerarsi – in tema di licenziamenti – una “non riforma”. In altre parole, se dovesse passare l'orientamento “bolognese” non sarebbe irragionevole sostenere che, pur suffragato da un filone giurisprudenziale consistente, ciò nondimeno l'intento del Legislatore di limitare la discrezionalità del giudice nella reintegrazione sul posto di lavoro sarebbe neutralizzata da un'indagine preliminare, a mente del nuovo 4° comma L.300/1970, che la consente “ex lege” e che non permette al giudice di accedere all'ipotesi del successivo 5° comma, dove, a fronte di un licenziamento illegittimo, è invece prevista la (sola) tutela risarcitoria/monetaria. Di contro, se il giudice delle leggi, in recepimento delle esigenze del Legislatore, dovesse cassare questo orientamento, relegando le ipotesi della reintegrazione alla sola inesistenza del fatto contestato - e lasciando a presidio dell'illegittimità del provvedimento datoriale la tutela obbligatoria (e quindi il “solo” risarcimento) – allora potrebbe affermarsi che la c.d. “riforma Fornero”, in tema di licenziamenti, ha davvero modificato la disciplina vigente fino al giugno 2012.

Tribunale di Bologna, Sez. Lav., Ord.15/10/2012