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SEGNALAZIONE ILLEGITTIMA ALLA CENTRALE RISCHI DELLA BANCA D'ITALIA: i possibili rimedi ed il risarcimento del danno
Negli ultimi anni si assiste sempre più frequentemente ad un abuso da parte degli istituti di credito delle segnalazioni alla Centrali Rischi della Banca d'Italia dei c.d. “cattivi pagatori”.
Lo strumento della Centrale Rischi consente alle banche di valutare la capacità dei soggetti che richiedono l'accesso al credito di assolvere le obbligazioni assunte, favorendo decisioni ponderate circa l'erogazione del credito.
La segnalazione da parte degli istituti di credito deve però avvenire sulla base di specifici criteri; intanto è necessario che il credito sia considerato in sofferenza; il che, per un ormai consolidato orientamento della giurisprudenza tanto di merito quanto di legittimità, avviene quando, sulla base di elementi oggettivi, il soggetto sia da ritenersi in stato di insolvenza, ovvero sia apprezzabile una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica, anche se non accertata giudizialmente.
Qualora la segnalazione alla centrale rischi non avvenga sulla base dei detti criteri può sicuramente dirsi illegittima.
Ma quali sono i possibili rimedi che il singolo può mettere in atto qualora venga illegittimamente segnalato quale “cattivo pagatore”?
Poiché la segnalazione può essere di per sé idonea a danneggiare fortemente il soggetto che la subisce, il quale rischia il congelamento dei crediti e l'impossibilità di accedere ai finanziamenti bancari, primo rimedio da porre in essere è quello di proporre una domanda cautelare nelle competenti sedi giudiziarie volta ad ottenere l'immediata cancellazione della segnalazione a sofferenza.
In un secondo momento si potrà certamente pensare di presentare una ulteriore domanda al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti, non solo quelli patrimoniali quali conseguenza per l'imprenditore di un peggioramento della sua affidabilità commerciale e delle difficoltà di accesso al credito, ma anche quelli non patrimoniali, riconosciuti dalla più recente giurisprudenza, con riguardo ai valori della reputazione e dell'onore, essendo le imprese considerate soggetti collettivi titolari di diritti della personalità a tutela costituzionale (Cassazione civile, sez. I, n. 15609/2014).