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Il ruolo del paziente nel fallimento della prestazione sanitaria

24/11/2022

Le strutture sanitarie si trovano a volte chiamate a rispondere dei danni per prestazioni erogate nei confronti di pazienti non collaborativi che contribuiscono con la propria condotta al fallimento del piano di cura.

Ma quanto e come incide nei giudizi di responsabilità sanitaria la condotta del paziente?

Vediamo di fare chiarezza su una tematica diffusa in materia di malpractice sanitaria, soprattutto nel settore dell’odontoiatria in cui il rapporto medico-paziente assume un’importanza di massimo rilevo.

Le conseguenze che possono derivare da una condotta negligente, imprudente e imperita del danneggiato (e quindi del paziente) sono state tratteggiate dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 10607 del 2010:

“il nesso causale è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della "condicio sine qua non"), nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili; a tal fine il comportamento colposo del danneggiato, quando non sia da solo sufficiente ad interrompere il nesso causale, può tuttavia integrare, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, c.c., un concorso di colpa che diminuisce la responsabilità del danneggiante”

Osservando i principi espressi nella sentenza in commento, possono configurarsi due ipotesi nel caso all’atto di malpractice sanitaria si affianchi una condotta negligente, imprudente e imperita del paziente:

  • il comportamento del paziente è in grado di determinare da solo il danno richiesto, così interrompendo il nesso causale originato dalla condotta dei sanitari;

  • il comportamento del paziente si è limitato a concorrere alla causazione del danno, aggravandone l’esito pregiudizievole;

Esaminiamo brevemente entrambi gli scenari.

La prima ipotesi comporta l’esenzione da responsabilità del sanitario in quanto il danno è stato causato soltanto dallo stesso paziente negligente, imperito e/o imprudente, senza che la condotta dei sanitari abbia assunto un rilevo causale rispetto alla verificazione dell’evento dannoso. La conseguenza giuridica di questa ipotesi consiste nella non imputabilità del danno in capo ai sanitari, i quali, pur avendo erogato una prestazione scorretta, non hanno generato (né contribuito a generare) il danno sofferto dal paziente.
Si tratta tuttavia di una ipotesi più teorica che pratica in materia di malpractice sanitaria: gli obblighi potenzialmente e statisticamente generatori del danno, infatti, sono quasi tutti in capo ai sanitari poiché sono gli unici soggetti del rapporto dal quale è lecito aspettarsi il possesso di specifiche cognizioni di scienza medica (Cfr. Cass. Ordinanza n. 26426/2020).
Eccetto quindi casi eccezionali (si pensi al caso di scuola in cui il paziente fornisce informazioni errate in sede di anamnesi), molto difficilmente il danno potrà essere imputato solo al paziente.

Molto più frequente è invece la seconda ipotesi prospettata, il cui verificarsi avrebbe il diverso effetto giuridico di ridurre la quota di danno gravante sul sanitario in misura corrispondente al contributo apportato dal comportamento del paziente. L’ipotesi trova conferma nella fattispecie legale del “concorso colposo del creditore” prevista dall’art. 1227 del codice civile:

“Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza”.

La valutazione sull’entità di ciascuna delle due colpe (sanitario e paziente) in relazione alla quota di danno imputabile ai due soggetti concorrenti sarà rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, il quale, potrà valutare equitativamente le posizioni delle parti, oppure ritenere che la colpa di una parte sia risultata nei fatti prevalente rispetto alla colpa dell’altra parte.

Sul punto, deve segnalarsi un’interessante pronuncia del Tribunale di Monza in un caso di “concorso colposo del creditorein relazione al comma 1 dell’art. 1227 c.c., esitato con la sentenza n. 1811/2022 di condanna del sanitario (nel caso di specie, odontoiatra) e della struttura sanitaria. In particolare, la paziente si era rivolta ad un centro per cure dentali ed ivi sottoposta a specifici trattamenti odontoiatrici, comprensivi altresì dell’impiego di protesi dentarie. Tali protesi, nella specie, presentavano evidenti difetti progettuali tali da comprometterne la durata.

È, infatti, nella fase di riabilitazione della paziente che la stessa sosteneva in giudizio di avvertire scarsa stabilità delle protesi e difficoltà masticatoria. Tuttavia, pur non essendovi dubbi per il CTU e per il Giudice circa la responsabilità del sanitario per la difformità del comportamento dallo stesso tenuto rispetto alle normali regole di perizia, progettuali ed esecutive, l’interessante dato di fatto “attenuante” la colpa medica si rinveniva in una mancata segnalazione da parte della paziente delle problematiche sofferte a seguito del trattamento.

Proprio l’omissione della paziente veniva qualificata dal Giudice come causa del “concorso del fatto colposo” ai sensi dell’art. 1227 c.c. nella determinazione delle conseguenze dannose derivanti dall’ormai certo errore medico: non aver posto all’attenzione dei sanitari le problematiche sofferte avrebbe precluso all’odontoiatra l’intercettazione di un sintomo importante e conseguentemente di porre in essere le idonee misure funzionali ad evitare il fallimento integrale della riabilitazione protesica.

Per quanto occorra dare atto di diversi orientamenti in giurisprudenza con riguardo alla materia del “concorso del fatto colposo”, la vicenda processuale brevemente esposta, pur lasciando spazio a non poche riflessioni sul tema del concorso del danneggiato (paziente) nell’evento di danno, ha il merito di chiarire i confini di una fattispecie che avrebbe l’effetto di ridurre la condanna dei sanitari.

Da quanto sopra esposto, è agevole constatare come nei casi in cui il paziente abbia posto in essere condotte “non collaborative” potenzialmente generatrici di danno, occorrerà approfondire la complessa questione inerente all’imputabilità dell’evento dannoso e, in particolare, valutare se si possa configurare la (rara) ipotesi in cui il danno è interamente imputabile al paziente, oppure la (più frequente) ipotesi del “concorso del creditore” con conseguente riduzione dell’ammontare di danno imputabile alla condotta del sanitario.