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RISARCIMENTO DANNO: e' il momento per gli imprenditori di chiedere conto alla P.A.

07/04/2016

Cons. Stato, V°, 25/3/2016, n. 1239

Uno dei danni di cui è possibile oggi ottenere il risarcimento è il cd. “danno da ritardo”, che scaturisce da una tardiva adozione, da parte della P.A., di un provvedimento favorevole al soggetto richiedente.

Si contrappongono in giurisprudenza due indirizzi circa la possibile richiesta all'Ente amministrativo di un risarcimento relativo a detto danno; il primo indirizzo, minoritario, muove dal presupposto che il ritardo di qualunque procedimento amministrativo sia risarcibile in “automatico”, perché ciò andrebbe inevitabilmente ad incidere sui piani imprenditoriali del soggetto che chiede l'emanazione del provvedimento.

Il secondo indirizzo invece, attualmente maggioritario, subordina la risarcibilità del danno al fatto che il procedimento amministrativo si sia concluso favorevolmente per il destinatario o, comunque, che sussistono fondate ragioni per ritenere che l'interessato avrebbe ottenuto il provvedimento a Lui favorevole; la sentenza in esame prende spunto da quest'ultima posizione, spiegando esattamente quale onere probatorio incombe sull'imprenditore che voglia richiedere il risarcimento alla Amministrazione tardiva.

Il caso riguarda una società che svolge l'attività di trattamento di rifiuti non pericolosi (carta, cartone, plastica ecc.), che aveva fatto istanza di verifica d'assoggettabilità di V.I.A. (ex art. 20 D.Lgs 152/06) per l'ampliamento delle quantità trattate; il comma 4 del citato art. 20 prevede che la P.A. abbia a disposizione 45 giorni per l'emissione del provvedimento (di accoglimento o rigetto dell'istanza del privato), mentre nel caso in questione l'atto amministrativo - di natura positiva per il richiedente – era stato emesso dopo ben 154 giorni ed, proprio in ragione di detto (ingiustificato) ritardo, il richiedente si era deciso a formulare al TAR una richiesta risarcitoria.

Nella pronuncia in commento il Consiglio di Stato precisa in primo luogo come il danno non possa darsi “per presunto” ma che debba essere specificamente provato; in pratica il solo ritardo nell'emanazione di un atto non è sufficiente per configurare un danno “ingiusto”; detta prova non risulta “impossibile”, potendosi raggiungere verificando la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e suo ammontare, ingiustizia dello stesso e nesso di causalità) nonchè di carattere soggettivo (dolo o colpa della P.A.).

Questi ultimi sono provati se si dimostra l'esito favorevole del procedimento a fronte di una palese inosservanza dei termini di legge e che l'Amministrazione non è in grado di addurre alcun legittimo impedimento o ragione giustificatrice in relazione al ritardo contratto (da cui ne consegue, giocoforza, l'ingiustizia del danno).

Quanto infine alla quantificazione del danno, il ricorrente ha stimato la perdita economica in via presuntiva, quale conseguenza del ritardo subìto, tramite il deposito dei bilanci societari (precedenti e successivi all'autorizzazione concessa) e formulando, in base a detti, una stima precisa del danno economico in quanto, per giurisprudenza consolidata, il danno non può essere provato dal giudice in via equitativa.

Conclusivamente dunque occorre precisare che chiunque si senta ingiustamente danneggiato dalle “lungaggini” della P.A. può oggi procedere alla formulazione di una richiesta risarcitoria all'Amministrazione, se risulta in grado di dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti (soggettivi ed oggettivi, come sopra evidenziati) nonchè stimi in maniera chiara (anche se solo presuntiva) la quantificazione del danno, nella consapevolezza che, in presenza di detti presupposti, sono finalmente aumentate le chances d'ottenere il legittimo ristoro dei danni subìti.