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Quando la scorretta tenuta della cartella clinica costa il risarcimento alla struttura sanitaria

27/05/2022
Trib. Milano, Sez. I, Sent., 11/01/2022, n. 83

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 83/2022, chiarisce il percorso di valutazione della prova del danno (ipoteticamente) subito dal paziente in totale assenza di cartella clinica.

La corretta tenuta della cartella clinica è da sempre un tema sul quale viene riposta grande attenzione. Si tratta infatti di un atto pubblico dotato di fede privilegiata che svolge molteplici funzioni volte a soddisfare altrettanto molteplici interessi, tutti a tutela del più ampio diritto alla salute costituzionalmente sancito (art. 32 Cost.).

Basti pensare a come un’adeguata compilazione della cartella clinica sia idonea a

  1. tutelare il diritto del paziente di conoscere il proprio percorso clinico e di avere uno strumento per provare eventuali danni;
  2. garantire la corretta, completa e dettagliata comunicazione tra professionisti sanitari che svolgono, ognuno per quanto di propria competenza, prestazioni differenti ma intrinsecamente interconnesse tra di loro al fine dell’adeguata diagnosi e cura del paziente; e ancora
  3. tuteli i professionisti sanitari da eventuali (e a volte infondate) contestazioni circa la correttezza del proprio operato.

Aspetto, quest’ultimo, tutt’altro che banale se si considera che in un giudizio di responsabilità medica la cartella clinica potrebbe essere – come spesso è - l’unico elemento di prova in grado di “smontare” quel nesso causale tra trattamento sanitario e danno che è onere del paziente provare.

Ma se la cartella clinica viene smarrita e, dunque, non rientra tra le prove che il giudice dovrebbe valutare per le decisione della causa, come si può determinare la sussistenza o meno di responsabilità del sanitario o della struttura sanitaria in cui lo stesso opera? In altri termini, in un giudizio di responsabilità medica a favore di chi volge l’assenza della cartella clinica?

Il Tribunale di Milano si trova di fronte a questo “dilemma” probatorio, dovendo decidere sulla domanda risarcitoria avanzata da una paziente sottoposta a plurimi interventi chirurgici: il primo, di mastectomia destra semplice con posizionamento dell’espansore mammario; il secondo, di rimozione dell’espansore mammario con protesi definitiva a destra e contemporanea mastoplastica riduttiva di simmetrizzazione del seno sinistro; l’ultimo, di escissione della lesione mammaria. Senza voler entrare nel merito della vicenda, nel corso della quale era comunque emerso che i chirurghi avevano agito in aderenza alle linee guida (dunque in maniera – solo – astrattamente corretta), tra le prove risultava assente la cartella clinica inerente il secondo dei tre interventi menzionati.

Cosicché il Giudice, per dirimere la questione (cioè, in particolare, per determinare se l’ultimo intervento subito dalla paziente fosse diretta conseguenza di un’inadeguata esecuzione del precedente intervento), ha osservato che:

  • la difettosa tenuta (assimilabile all’ipotesi di totale assenza) della cartella clinica non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente;
  • è possibile, in tal caso, ricorrere al principio della vicinanza della prova (cioè alla prova solo presuntiva), ai fini sia dell’accertamento della colpa del medico, sia dell’individuazione del nesso causale fra la condotta del sanitario e le conseguenze dannose subite dal paziente;
  • in concreto, occorre primariamente valutare se la condotta del sanitario poteva essere astrattamente idonea a causare quell’evento dannoso (come lo era nel caso di specie);
  • la lacuna probatoria (assenza della cartella clinica) derivava dall’inadempienza della parte più prossima alla documentazione clinica anche in violazione del generale obbligo di custodia sulla stessa incombente.

Tenuto conto di tanti e tali elementi valutativi, lo smarrimento della cartella clinica, seppur non si traduca in una autonoma fonte di danno per il paziente (non si possono dunque avanzare pretese risarcitorie per il solo fatto che non sia disponibile la cartella clinica), produce inevitabilmente i suoi effetti in ambito processuale. È così che il Tribunale di Milano, presumendo la colpa medica, ha accolto la richiesta risarcitoria della paziente.

In conclusione, è quindi facile comprendere come la prestazione sanitaria non si riduca alla sola corretta esecuzione del singolo atto medico secondo la buona prassi e le linee guida, ma si componga di molteplici altre attività che, sebbene possano apparire adempimenti solo formali, in verità costituiscono l’elemento – forse unico – in grado di tutelare tutte le parti coinvolte nel complesso (e a volte tortuoso) percorso di cura.