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Pubblicita e tariffe professionali
Sempre più complesso districarsi nella materia della pubblicità dei professionisti: tre sentenze della Cassazione emesse nel corso dell’estate 2012, che sembrano in parte essere tra loro in contrasto.
Cass Civ., Sez III 31 luglio 2012 n.13677 Nel caso in esame la Cassazione statuisce sui profili di responsabilità del Direttore Sanitario di una struttura odontoiatrica affiliata ad un franchising. Più esattamente, in questo procedimento la pubblicità effettuata risultava effettivamente non corretta. Negli atti della procedura però c’era la dichiarazione del legale rappresentante della società affiliante che attestava come tutta la campagna promozionale della struttura era stata gestita in totale autonomia dal franchisor che aveva tenuto il dentista all’oscuro di tutto, senza fornirgli alcuna comunicazione preventiva sulla pubblicità praticata. Ma tale profilo non è risultato idoneo a scagionare il direttore sanitario che è comunque responsabile della pubblicità della struttura che dirige.
Cass Civ sez IV 12 luglio 2012 n. 11816 Il caso riguarda il Direttore Sanitario di una struttura sottoposto a procedimento disciplinare da parte del proprio Ordine in relazione alla diffusione di un volantino contenente uno sconto sulle tariffe professionali. Più esattamente l’Ordine professionale contesta sia il mezzo (il volantino) sia la “non correttezza” della pubblicità nella parte in cui promette un sconto applicato sulle tariffe professionali, oggi abrogate. Di diverso avviso la Cassazione. Accogliendo infatti le tesi dell’odontoiatra ricorrente – secondo la quale la decisione inflitta si poneva in contrasto con gli artt. 42 e 49 del Trattato UE, la Direttiva n. 123/2006 sulla liberalizzazione dei servizi, la Corte di Giustizia Europea (causa C-119/09 sul «démarchage»), nonché la legge 248/2006 – c.d Decreto Bersani - la Cassazione ha dichiarato non solo la piena legittimità della pubblicità effettuata tramite volantini, ma altresì che la sanzione comminata è sintomo da parte del Consiglio dell’Ordine di una «insopprimibile sofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell’esercente la professione sanitaria». Ed ancora che non “ha troppo senso la valorizzazione in chiave di addebito delel genericità della promessa riduzione in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari”. Sembra dunque che la Cassazione ci voglia dire la il potere di valutazione ordinistica deve limitarsi alla veridicità e trasparenza del messaggio (come indicato dal Decreto Bersani), mentre non può entrare nel merito della “capacità di persuasione” del messaggio stesso.
Cass Civ. 10 agosto 2012 n. 14368 A solo un mese di distanza la Cassazione sembra contraddire sè stessa. Emanata infatti in ambito di pubblicità di avvocati, la Suprema Corte stabilisce che la legittimità del messaggio pubblicitario solo quando lo incide sulla sfera razionale e non su quella emotiva degli utenti
Questi i fatti. Un avvocato di Varese decide di organizzare la sua attività professionale come di seguito:
- apre uno studio chiamandolo «Angolo dei diritti» in un locale posto sul piano strada, applicando alle vetrine vetrofanie multilingue ed indicando sulle stesse le materie trattate; 2- apre un sito internet all’indirizzo www.angolodeidiritti.it e indicando gli orari del proprio studio come «orari negozio»;
- offre al pubblico prestazioni professionali, anche di natura giudiziale, ad un costo predeterminato e quantificato forfettariamente, senza riferimento al valore ed all’importanza della pratica nonché al/a sua presumibile durata, precisando anche che “si concedono a richiesta pagamenti personalizzati e dilazionati” e si praticava il “patto di quota lite”;
- rilascia alcune interviste a quotidiani locali in cui sostiene, con riferimento al suo gruppo di legali, quanto segue: “Ci rivolgiamo a quella fascia di persone che non si rivolgono all’avvocato per diffidenza … il nostro scopo è quello di migliorare l’approccio e facilitare il ricorso del cittadino al/a giustizia…, promuovendo un’idea di assistenza legale come servizio a favore di tutti e non appannaggio di alcuni;”
Il procedimento disciplinare. L’ordine degli avvocati Varese apre procedimento disciplinare ed applica la sanzione delle censura che viene poi confermata davanti al CNF. Nello specifico il Consiglio Nazionale Forense ha così stabilito:
a) circa la scelta del luogo di svolgimento della attività (LEGITTIMO)
«preliminarmente, [...] nel caso di specie, non è censurato l’esercizio della professione in ambiente e luogo diverso dalla tradizione o con inusuali modalità comunicative: nel caso di specie, infatti, la localizzazione dello studio non comporta neppure una violazione della riservatezza dell’utente o della dignità professionale del legali che operano nello studio»;
b) circa l’utilizzo di espressioni evocative e/o commerciali (NON LEGITTIMO)
«II Codice deontologico forense, a seguito dell’entrata in vigore della normativa nota come “Bersani” consente non una pubblicità indiscriminata ma la diffusione di specifiche informazioni sull’attività, al fine di orientare razionalmente le scelte di colui che ricerchi assistenza, nella libertà di fissazione del compenso e della modalità del suo calcolo. La peculiarità e la specificità della professione forense giustificano, …, le limitazioni derivanti dalla necessità di proteggere i beni della dignità e del decoro della professione e la verifica al riguardo è dall’ordinamento affidata al potere-dovere dell’ordine professionale. Nel caso di specie, l’utilizzo delle espressioni “L’angolo dei diritti” e ” negozio” (solo successivamente eliminata) hanno carattere prettamente commerciale. Esse tendono a persuadere il possibile cliente attraverso un motto pieno di capacita evocativa emozionale, basandosi, quindi, su messaggi pubblicitari eccedenti l’ambito informativo razionale ..»;
c) circa le predeterminazione dei costi (NON LEGITTIMA)
«Quanto ai costi predeterminati, non è condivisibile l’opinione che nega l’avvenuta compromissione, nella specie, dei principi di adeguatezza e proporzionalità: al contrario, è verificabile l’avvenuta lesione, nella specie, del decoro della professione legale, svilita da proposte commerciali che offrono servizi a costi molto bassi. Qui, infatti, non si tratta di valutare se sussista corrispondenza con i minimi tariffari, bensì l’adeguatezza del compenso al valore ed all’importanza della singola pratica trattata; invero i compensi devono sempre essere proporzionati all’attività svolta»
d) circa i contenuti delle interviste rilasciate (NON LEGITTIMO)
«In merito alle interviste rilasciate ed alle relative espressioni utilizzate , occorre rilevare un intento captativo e non informativo che, dando della categoria un’immagine negativa, ingenerano diffidenza nella clientela».
La Corte Suprema ha ritenuta corretta la decisione sopra riportata. La decisione a parere di chi scrive desta qualche perplessità. Se da una parte ammette l’uso di un negozio su strada, dall’altra dichiara illegittime tutte le altre iniziative promozionali poste in essere in ragione del fatto che le stesse andrebbero ad incidere sulla “sfera emotiva” e “non quella razionale” del consumatore. Incidendo poi sulla sfera emotiva non potrebbe rientrare nell’ambito della nozione di “pubblicità informativa” che caratterizza oggi nel nostro ordinamento la pubblicità dei professionisti (nozione richiamata in tutte le leggi intervenute: legge 248/2006 art. 2, legge 148/2011 art. 3 co 5, DPR 137/2012 art. 4 ). In sostanza secondo la Cassazione la pubblicità informativa è quella con contenuto “razionale”. Non si può negare lo sforzo della Cassazione di dare criteri di demarcazione tra i non chiari confini della pubblicità “informativa” (razionale) e quella della “non informativa” (emozionale?). Ma i dubbi che sorgono sono molti: siamo proprio sicuri che il legislatore volesse dire questo quando ha introdotto questa (infelice in quanto assolutamente non chiara) distinzione? E siamo proprio sicuri che tale distinzione - proprio perché così labile, “evanescente” e dai contorni indefiniti – non sia una maniera per legittimare una valutazione di merito della pubblicità sotto il profilo meramente deontologico, consentendo quindi restrizione che confliggono in maniera ingiustificata con gli obiettivi di liberalizzazione perseguiti oggi dal Legislatore ed auspicati della Comunità Europea? Vi è poi una novità. Il recentissimo DPR 137/2012 di riforma delle professioni stabilisce oggi che la pubblicità informativa deve essere «funzionale all’oggetto»: circa tale locuzione nella Relazione Illustrativa così si legge “le informazioni rese mediante pubblicità devono essere strettamente funzionali all’oggetto, in tal modo assorbendosi ogni necessità di riferimenti ambigui alla dignità ed al decoro della professione, devono rispettare criteri di veridicità e non ingannevolezza · Alla luce dei contenuti della nuova disciplina e della relativa Relazione Illustrativa, quali saranno da ora in avanti gli orientamenti degli Ordini e della Cassazione?