Sentenza CGUE, 13/10/2022 (causa C‑C‑616/20)
Con la sentenza del 13 ottobre 2022, resa nella Causa C-616/20 la Corte di Giustizia rimarca la distinzione tra “medicinale per funzione” e prodotto cosmetico. Perché si possa valutare se un prodotto rientri nell’una o nell’altra categoria, la Corte fornisce le indicazioni per individuare e la sussistenza di un “accertamento scientifico” circa gli effetti del prodotto sulla salute umana e la capacità potenziale del prodotto di indurre un beneficio concreto per la salute.
La causa trae origine dal rinvio pregiudiziale operato dal Tribunale amministrativo tedesco riguardo all’avvenuta commercializzazione da parte della società M2Beautè di un prodotto denominato “M2 Eyelash activating serum”, contenente una nuova sostanza attiva sintetica appartenente al gruppo dei derivati della prostaglandina (i.e. il metilamido-diidro-noralfaprosal o MDN). La società, in particolare, immetteva in commercio tale prodotto come cosmetico, sebbene nella sua struttura molecolare contenesse una sostanza (l’MDN) assimilabile al bimatoprost (BMP), quest’ultimo autorizzato in Germania come componente dei medicinali. Al riguardo, il giudice tedesco riteneva che un prodotto, quale quello venduto dalla M2Beautè, capace di favorire la crescita delle ciglia, dovesse essere classificato come medicinale piuttosto che come prodotto cosmetico.
Le questioni pregiudiziali rivolte alla Corte di Giustizia riguardavano due aspetti interpretativi della normativa in materia di medicinali per uso umano, contenuta nella Direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Sostanzialmente, si chiedeva alla Corte se fosse possibile:
- determinare le proprietà farmacologiche di un prodotto basandosi sulle conoscenze scientifiche relative ad un analogo strutturale di una certa sostanza, qualora su quest’ultima non siano disponibili studi scientifici;
- classificare come “medicinale” un prodotto che modifica le funzioni fisiologiche senza produrre effetti benefici per la salute, quando migliora l’aspetto esteriore senza presentare proprietà nocive.
Prima di analizzare la posizione della Corte di Giustizia rispetto alle questioni pregiudiziali sottopostegli, chiave di lettura nella interpretazione del diritto europeo non può che ritrovarsi nella ratio espressa dalla medesima normativa e nelle definizioni.
Sotto il primo profilo è essenziale considerare che quello di assicurare a livelli elevati la tutela della salute umana è lo scopo e filo conduttore della normativa inerente i prodotti assunti dalla - e/o applicati sulla - persona (siano essi medicinali o cosmetici).
Sotto altro profilo, senza voler entrare nello specifico, è palpabile la differenza intercorrente tra medicinale e prodotto cosmetico. Va considerato, infatti, che è medicinale per funzione ogni sostanza somministrata allo scopo di “ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica” (Direttiva 2001/83). Diversamente, il prodotto cosmetico è una sostanza applicata sulle superfici esterne del corpo o sui denti allo scopo di “pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori” (Regolamento CE n. 1223/2009).
La distinzione non è tuttavia sempre pacifica. Torna in aiuto la lettera del diritto dell’Unione che, in caso di dubbio circa la qualificazione di un prodotto sulla base delle sue caratteristiche intrinseche, impone l’applicazione della normativa (più restrittiva) relativa ai medicinali.
Nonostante vi siano adeguati strumenti per identificare un prodotto ai fini della sua commercializzazione, la questione sottoposta alla Corte di Giustizia non è di poco conto.
La Corte ha chiarito che le proprietà farmacologiche di un prodotto devono essere accertate scientificamente o risultare allo stato attuale delle conoscenze scientifiche. Tali possono essere considerate anche quelle relative ad una sostanza con analoghi componenti strutturali rispetto a quella di cui non vi siano espresse evidenze scientifiche circa gli effetti sulla salute.
Dunque, ai fini della classificazione come medicinale, un’autorità nazionale deve “stabilire le proprietà farmacologiche del prodotto di cui trattasi sulla base delle conoscenze scientifiche relative ad un analogo strutturale di detta sostanza, qualora non siano disponibili studi scientifici relativi alla sostanza che compone il suddetto prodotto, se il grado di analogia è tale da far presumere, sulla base di un’analisi obiettiva e scientificamente fondata, che una sostanza presente in un prodotto, ad una determinata concentrazione, abbia le stesse proprietà di una sostanza esistente per la quale siano disponibili gli studi richiesti”.
Diversamente opinando, cioè se in assenza di studi scientifici riferiti ad una sostanza componente il prodotto venisse (arbitrariamente) qualificato come cosmetico, si arriverebbe ad eludere l’obbligo, imposto dalla normativa europea, di fornire gli studi relativi alle proprietà di un medicinale prima della sua immissione in commercio (che, invero, deve essere autorizzata).
Se quanto detto vale in astratto con riferimento alle sostanze di nuova formulazione (come lo era nel caso di specie l’MDN), per qualificare un qualsiasi prodotto occorre svolgere un ulteriore passaggio valutativo: determinare se una sostanza è idonea a “modificare le funzioni fisiologiche” (quale caratteristica propria dei medicinali) intesa come idonea ad apportare benefici per la salute.
E qui– come di consueto avviene – si dovrà verificare “caso per caso”, ove il beneficio per la salute degli effetti di un prodotto non pare comunque sufficiente a qualificare una sostanza come medicinale o prodotto cosmetico. Specialmente laddove tale beneficio attenga esclusivamente all’assenza – per contro – di effetti nocivi e all’effetto migliorativo del solo aspetto esteriore, così potendo incrementare l’autostima e il benessere generale della persona.
Se intendessimo il beneficio sopra descritto come esplicativo del concetto di “modifica delle funzioni fisiologiche”, si incorrerebbe nel rischio di dover necessariamente identificare come medicinale ogni prodotto che migliori l’aspetto esterno (con tutto ciò che ne deriverebbe in termini di attività scientifica a supporto, autorizzazione all’immissione in commercio, ecc.).
Il discrimine – frutto del ragionamento per presunzioni operato dalla Corte di Giustizia – diventa il concetto di beneficio basato su un accertamento scientifico, che si presume sussistente laddove il prodotto o la sostanza siano considerati idonei all’uso per il trattamento di una patologia riconosciuta.
In definitiva, conclude la Corte, “un prodotto che modifica le funzioni fisiologiche può essere classificato come medicinale (…) solo se ha concreti effetti benefici per la salute. Al riguardo, un miglioramento dell’aspetto esteriore, comportante un beneficio mediato della maggiore autostima o del maggior benessere che esso suscita, è sufficiente quando consente il trattamento di una patologia riconosciuta. Per contro, un prodotto che migliori l’aspetto esteriore senza avere proprietà nocive e che sia privo di effetti benefici per la salute non può essere classificato come medicinale”.