Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?
Mancato pagamento vaglia, cambiali e assegni: conseguenze e rimedi attivabili dal debitore
I vagli cambiari, le cambiali e gli assegni (bancari, circolari e postali che siano) sono titoli di credito che attribuiscono al creditore il diritto di ricevere il pagamento di una somma di denaro.
Ma cosa succede in caso di mancato pagamento del titolo di credito? E quali sono i rimedi che la Legge conferisce al debitore per attenuare e/o eliminare le conseguenze dell’inadempimento?
Innanzitutto, la prima conseguenza negativa che si genera a carico del debitore inadempiente consiste nella possibilità del creditore di iniziare il recupero del credito con la notifica dell’atto di precetto, senza la necessità di ottenere un decreto ingiuntivo (V. art. 63 R.D. n. 1669/1933 per le Cambiali; art. 55 R.D. n. 1736/1933 per gli Assegni). Tale deroga del regime ordinario - da esercitare per gli assegni entro sei mesi dal termine previsto per l’incasso (in caso contrario, il creditore dovrà ottenere un decreto ingiuntivo) - comporta un importante risparmio di tempi e risorse, potendo il creditore saltare la fase giudiziale che di regola porta all’emissione del decreto ingiuntivo (fase c.d. monitoria).
Una volta ricevuto l’atto di precetto il debitore, nel rispetto delle condizioni prescritte dal Codice di Procedura Civile, potrà proporre opposizione:
- ai sensi dell’art. 615 c.p.c. contro il precetto o il pignoramento per motivi di merito che riguardano l’esistenza, la validità e/o la debenza dell’importo del titolo di credito (sebbene tali profili non potranno che essere ridotti rispetto agli altri casi, trattandosi pur sempre di documenti che riportano espressamente la firma del debitore);
- ai sensi dell’art. 617 c.p.c. contro il precetto o il pignoramento per contestare - spesso a fini esclusivamente dilatori - vizi formali e/o procedurali commessi dal creditore (per es., con riferimento alla sospensione applicata dalla Legge, il tentativo del creditore di riscuotere l’importo della cambiale prima del 31 agosto 2020);
- ai sensi dell’art. 619 c.p.c. contro il pignoramento per consentire al terzo non debitore - che subisce incolpevole il pignoramento - di rivendicare i propri diritti sui beni illegittimamente pignorati.
Una seconda conseguenza negativa è la c.d. “levata del protesto”.
Il protesto è un atto pubblico redatto da un notaio o da un ufficiale giudiziario o, in mancanza, dal segretario comunale con il quale si attesta il mancato pagamento o la mancata accettazione del vaglia, cambiale e dell’assegno (N.B.: i soggetti incaricati alla levata del protesto possono a loro volta incaricare per tali attività i c.d. “Presentatori”, come spesso accade nei rapporti tra notai e banche coinvolte a vario titolo nel pagamento dell’assegno; in alcuni casi è dunque possibile che a levare il protesto sia la banca, non il notaio).
Il protesto deve essere levato entro i termini ristrettissimi previsti dall’art. 51 e dall’art. 46, rispettivamente, del R.D. n. 1669 e 1736 del 1933. Da ciò ricaviamo come la levata del protesto introduca uno specifico obbligo a carico dei pubblici ufficiali (Ex multis: Corte di Cassazione nella sentenza 15861/15), il che rappresenta - spesso - il motivo per cui dopo la scadenza fissata per l’incasso del titolo di credito l’eventuale pagamento tardivo non impedisce la levata del protesto.
L’iscrizione del debitore nel “Registro Informatico dei Protesti” presso la Camera di commercio del luogo di emissione del titolo di credito (segnatamente, il luogo in cui il debitore ha sottoscritto il titolo di credito, assumendosi il relativo obbligo di pagamento) comporta un duplice pregiudizio:
- l’inserimento del suo nominativo in una sorta di “lista nera” per la durata di cinque anni, con possibili disagi e difficoltà nell’ottenere finanziamenti e/o problemi anche ad aprire un semplice conto corrente;
- il pagamento degli interessi legali, delle spese di protesto (es. notaio) e di una penale del 10% da calcolare sull’importo dell’assegno.
La cancellazione dell’iscrizione del proprio nominativo, tuttavia, può essere ottenuta dal debitore:
- tramite istanza di rettifica da presentare alla Camera di Commercio competente nei soli casi di erronea (cioè levato in conformità della legge, ma riferito ad errori materiali o disguidi tecnici nella levata del protesto) e/o illegittima (cioè levato in violazione dei presupposti dei modi e dei tempi previsti dalla legge) levata del protesto;
- tramite istanza di rettifica da presentare dopo un anno dalla pubblicazione alla Camera di Commercio competente, alla duplice condizione che il debitore:
- abbia pagato l’importo insoluto del titolo di credito comprensivo di spese e penali;
- abbia ottenuto dal Tribunale competente il decreto di riabilitazione a norma dell'art. 17, comma 6 bis della legge 7 marzo 1996, n. 108 (si tratta di una procedura giudiziale snella che non implica particolare dispendio di tempo e risorse);
- tramite ricorso giurisdizionale d’urgenza ex 700 c.p.c. per problematiche inerenti all’origine del protesto come il sorgere di truffe, controversie contrattuali o reati (qualora il debitore intenda invece chiedere anche i danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall’illegittima segnalazione, lo potrà fare dopo il la conclusione del procedimento d’urgenza attraverso l’ordinaria citazione in giudizio dei soggetti responsabili).
In alternativa alle tre ipotesi prospettate, il debitore che paga l’importo insoluto del titolo di credito (comprensivo di spese e penali) potrà chiedere alla Camera di Commercio Competente l’annotazione dell’avvenuto pagamento nel Registro Informatico dei Protesti.
Con l’annotazione, il nominativo del debitore resterà inserito nel Registro per cinque anni (non vi sarà quindi la cancellazione), ma i terzi potranno verificare che vi sia stato il pagamento dell’importo dovuto, ancorché tardivo.
Oltre alle due conseguenze appena prospettate, il debitore che ha emesso assegni senza provvista ex art. 2 L. 386/1990 (o senza autorizzazione ex art. 1 L. 386/1990), potrà scontare due ulteriori effetti pregiudizievoli.
Il primo effetto è sicuramente l’iscrizione del suo nominativo presso l’archivio CAI (Centrale Allarme Interbancaria) istituito presso la Banca d’Italia (art. 36 D.lgs. n. 507/1999).
La legge prevede che tale iscrizione sia preceduta dall’invio da parte della Banca di una comunicazione, con la quale l’Istituto invita il debitore a pagare entro 60 giorni l’importo dell’assegno (comprensivo di spese e penali). Decorso inutilmente il termine indicato nella comunicazione, il nominativo del debitore viene iscritto nell’archivio del CAI e, contestualmente all’iscrizione, gli viene revocata l’autorizzazione ad emettere assegni per la durata di sei mesi (N.B: la revoca comporta altresì il divieto per qualunque altra banca o ufficio postale di concedere nel predetto semestre nuove convenzioni di assegni).
Analogamente alla levata del protesto, anche l’iscrizione in CAI costituisce un obbligo a carico della banca trattaria, dovendo quest’ultima, in caso di omessa iscrizione, pagare l’importo dell’assegno in luogo del debitore, sebbene entro un limite massimo di 10.000 € per ciascun titolo di credito (tecnicamente, la banca è solidalmente responsabile, per cui, dopo il pagamento, se vi sono le condizioni di legge, potrebbe ripetere la somma pagata nei confronti del debitore rimasto inadempiente).
Il secondo effetto ulteriore è rappresentato dalle sanzioni amministrative previste per gli assegni scoperti (o non autorizzati). Tali sanzioni, previste dalla Legge n. 386/1990, possono essere di due tipi:
- pecuniarie, con importo variabile da 500 € a 3.000 €, e da 1.000 € a 6.000 € se l’assegno è superiore a 10.000 € o in caso di reiterazione delle violazioni (per l’assegno non autorizzato, le cifre ammontano, rispettivamente, da 1.000 a 6.000 e da 2.000 a 12.000 €);
- accessorie, come
- Il divieto di emettere assegni da 2 a 5 anni quando l’importo dell’assegno scoperto, ovvero la somma di più assegni scoperti, sia superiore a 500 € (tale sanzione è automatica in caso di assegni non autorizzati);
- l’interdizione dall’esercizio di un’attività professionale o imprenditoriale, dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese e/o l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, per un periodo da 2 mesi a 2 anni, a condizione che l’importo dell’assegno scoperto (o non autorizzati), ovvero la somma di più assegni scoperti (o non autorizzati) emessi in tempi ravvicinati, sia superiore a 50.000 €.
La violazione della normativa in materia di assegni scoperti (o non autorizzati) è comunicata al debitore dal Prefetto del luogo in cui deve essere pagato il titolo di credito, entro 90 giorni dalla comunicazione inviatagli dal pubblico ufficiale (in caso di protesto) o dalla banca stessa (in mancanza di protesto).
Notificata la contestazione il debitore ha facoltà di presentare una memoria difensiva entro 30 giorni, decorsi i quali il Prefetto, con ordinanza motivata, applicherà le sanzioni pecuniarie e accessorie al debitore.
Contro tale ordinanza prefettizia il debitore può opporsi ricorrendo al Tribunale del luogo in cui è stato commessa la violazione, a norma delle sezioni I e II del capo I della Legge 689/1981.