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Licenziamento per mancato raggiungimento degli obiettivi assegnati dal datore di lavoro
CASS. CIV. SEZ. LAV. DEL 12/06/2013 N° 14758
Annosa questione quella del licenziamento per scarso rendimento; la Corte di Cassazione però, con la pronuncia in commento, sembra offrirci uno spunto di riflessione che merita di essere condiviso. Un lavoratore del settore trasporti era stato licenziato perché, rispetto agli obiettivi minimi posti dall'azienda, non era risuscito, in ben 15 occasioni, a raggiungere i risultati richiesti; per tale ragione, irrogato il provvedimento espulsivo per violazione dell'onere di diligente collaborazione, il datore di lavoro era poi stato costretto ad un lungo iter giudiziario, giunto infine alla definitiva conferma di corretto licenziamento da parte dei magistrati di legittimità. Ebbene, la Corte di Cassazione ha ribaltato la sentenza, stabilendo doversi riformare il provvedimento di licenziamento in quanto appariva insussistente lo scarso rendimento, così come delineato e provato nei vari gradi giudizio. Invero, spiegano i Supremi Giudici, la negligenza del lavoratore per mancato raggiungimento degli obiettivi aziendali imposti non può essere valutata al solo fine di stabilire un risultato minimo; tutt'altro, si ha scarso rendimento - da solo idoneo a fondare un provvedimento espulsivo – solo nelle ipotesi in cui, presi a parametro di riferimento gli altri lavoratori adibiti alle medesime mansioni (nonché valutata la loro “produttività media”), il lavoratore licenziato non abbia raggiunto neanche quei risultati minimi conseguiti dagli altri dipendenti. In altri termini a nulla rileva invece il mancato raggiungimento dell'obiettivo fissato dal datore di lavoro se lo stesso non è “mediamente” raggiungibile e, cioè, se quel medesimo obiettivo non è stato raggiunto - o ragionevolmente non poteva esserlo - da nessuno altro lavoratore impegnati nelle medesime mansioni. Il ragionamento della Cassazione sembra essere assolutamente condivisibile; vero è infatti che la magistratura si è posta il problema di risolvere la prassi datoriale dello stabilire un obiettivo soggettivamente irraggiungibile allo scopo poi di poter comminare, a seguito del (inevitabile) mancato raggiungimento per negligenza del prestatore di lavoro, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Ora invece, sul filone giurisprudenziale che si è andato via via formando, i Supremi Giudici hanno stabilito che il raggiungimento di quello stesso obiettivo non dev'essere valutato soggettivamente, ma oggettivamente, ovvero deve fornirsi prova che, a parità di condizioni, quello stesso risultato era raggiunto dagli altri colleghi, mentre invece non lo era dal lavoratore licenziato e che, per (sola) tale ragione, egli risulta negligente, con una mancanza grave e legittimante (solo in quel caso) il provvedimento espulsivo.