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LICENZIAMENTI PER GIUSTA CAUSA: la Cassazione mette la parola fine al problema del “fatto materiale” nei licenziamenti per giusta causa
Cass.Civ.Sez.Lav.n.23669 del 6/11/2014
Lo diciamo subito, la sentenza in commento è rivoluzionaria, ma è davvero difficile credere che sulla reintegra nel posto di lavoro l'orientamento espresso dai Supremi giudici sarà sempre così restrittivo.
La fattispecie in esame è relativa un licenziamento per giusta causa di un lavoratore di un istituto di credito. Ritenute non sufficientemente provate le causali che avevano portato alla risoluzione del contratto, anche sotto il profilo della tempestività, i giudici di legittimità avevano reintegrato sul posto di lavoro il dipendente. Nulla di particolare, se non fosse che, nel corpo della sentenza veniva enunciato un principio di diritto da ritenersi chiave di lettura preziosa e imprescindibile per gli operatori del diritto, e anche per lavoratori e datori di lavoro. Spigano infatti i Supremi giudici che, secondo il nuovo Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, così come modificato dalla c.d. Riforma Fornero, la reintegra sul posto di lavoro è forma oramai residuale, e può trovare applicazione in ipotesi di licenziamento solo nel caso in cui il giudice accerti che il fatto contestato (la mancanza del lavoratore) non sussista, ovvero nel caso in cui quello stesso fatto rientra nelle condotte punibili con la sanzione conservativa del posto di lavoro. In tutti gli altri casi – e questo è il punto – la tutela applicabile è solamente risarcitoria (da 12 a 24 mensilità).
Cosa significa? Che il magistrato non ha margine discrezionale, o un fatto non sussiste (viene contestato ad es. un furto, ma non si riesce a provare che quel lavoratore ne è l'esecutore materiale), o se il furto è provato a carico del dipendente, e lo stesso è ricompreso dai contratti collettivi come una delle causali con cui può procedersi con la risoluzione del contratto di lavoro, il Giudice può solamente riconoscere al lavoratore un risarcimento di natura economica per quel licenziamento abnorme (e tale è ad esempio il licenziamento per un furto di un bene di scarso valore, ad esempio una penna).
La portata della decisione è dirompente, perché provato il fatto e verificato che lo stesso sia sanzionato dalla Contrattazione collettiva con l'espulsione dal luogo di lavoro, la reintegra – in Italia – non potrà più avere accesso, potendo accedere alla sola tutela risarcitoria di natura economica.
Lo scrivente ritiene tuttavia che un applicazione troppo stringente del principio sopra enunciato, potrebbe comportare una diversa valutazione della fattispecie confermata oggi dalla Cassazione, che potrebbe – come non è raro di accada – riconsiderare quanto sentenziato, alla luce delle ricadute pratiche che ne faranno gli operatori del diritto.