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Le norme antinfortunistiche non sono solo a tutela dei lavoratori ma anche dei terzi

27/09/2012

Cass. Pen. Sezione IV, Sent. n. 23147, del 12.06.2012

La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha ribadito un principio già espresso in precedenza e riguardante l’applicazione delle norme antinfortunistiche a terze persone (diverse dai lavoratori), che eventualmente abbiano avuto accesso nei luoghi di lavoro. Nello specifico il titolare di una società veniva condannato in primo e secondo grado perché riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose gravissime, ai sensi dell’art. 590 c.p., commi 1, 2 e 3, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore. La difesa dell'imputato riteneva tuttavia che, essendo la persona rimasta infortunata nell’evento il committente dei lavori, il quale si era voluto impegnare a collaborare all'esecuzione delle opere in modo autonomo (e senza che l'imputato potesse contrattualmente impedirglielo), lo stesso non poteva considerarsi un "dipendente" della società appaltatrice, con conseguente inapplicabilità nei suoi confronti della normativa antinfortunistica a tutela dei lavoratori. La Cassazione, però, ha ritenuto che “le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa”. Pertanto in caso di lesioni e d'omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, che ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile all'inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli artt. 40 e 41 c.p. (rapporti di causalità e concorsi di cause); seguendo i principi enunciati dalla Suprema Corte, poi, dovrebbe ravvisarsi l'aggravante di cui all'art. 589, comma 2 ed art. 590, comma 3 c.p., nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590 c.p., u.c., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come, ad esempio, quello verificatosi nel caso in questione.

Cass. Pen. Sezione IV, Sent. n. 23147, del 12.06.2012