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Lavoro e obbligo di vaccinazione anti-Covid: la posizione del Garante Privacy
L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali si è recentemente espressa sul rapporto tra lavoro e vaccinazione anti-Covid, con l’intento di fornire indicazioni utili ad imprese ed enti per la corretta applicazione della disciplina sulla protezione dei dati personali nel contesto emergenziale.
In particolare, l’intervento ruota attorno alla possibilità o meno per il datore di lavoro di chiedere ed ottenere dai lavoratori o dal medico competente informazioni riguardanti l’avvenuta vaccinazione (ne parliamo qui) e la possibilità per coloro che non siano vaccinati di accedere al luogo di lavoro.
Il Garante si è espresso in modo categorico sul primo punto: il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione. Questo si porrebbe, infatti, in contrasto con le disposizioni emergenziali e con la disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Inoltre, si specifica che i suddetti dati non possano essere acquisiti neanche con l’espresso consenso del dipendente, in quanto, in tal caso, il consenso non costituisce una valida condizione di liceità, in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo.
Altro profilo affrontato riguarda, poi, la possibilità per coloro che non siano vaccinati di accedere al luogo di lavoro.
La risposta, in questo caso, ha contorni meno netti. L’Autorità Garante afferma che, nell’attesa di un intervento legislativo a livello nazionale che valuti se porre la vaccinazione anti-Covid come requisito per lo svolgimento di determinate attività lavorative e mansioni, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come ad esempio nel contesto sanitario, trovano applicazione le misure speciali di protezione previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 del d.lgs. n. 81/2008).
Nel quadro così delineato, una posizione di significativa responsabilità verrà rivestita dal medico competente, identificato come figura di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo. Questi è, difatti, l’unico che, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, eventualmente, tenerne conto in sede di valutazione di idoneità alla mansione specifica.
Il datore di lavoro, invece, dovrà limitarsi ad attuare sul piano organizzativo le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (artt. 279, 41, 42 d.lgs. n. 81/2008).
In altre parole, fermo restando il divieto per il datore di lavoro di sapere se il dipendente si sia sottoposto o meno alla vaccinazione, lo svolgimento di tutte o parte delle mansioni potrebbe essere limitato o vietato ai non vaccinati sulla base delle indicazioni fornite dal medico competente, che in questa vaste rivestirà quindi un ruolo centrale.
Sarà infatti questi (e cioè il medico competente) a fungere da raccordo tra le esigenze del datore di lavoro di dare prova di conservare a tutti i dipendenti un ambiente di vita salubre, avuto riguardo all’effettiva pericolosità della mansione svolta dal dipendente non vaccinato in ordine alla possibilità di contagiare e essere contagiato, e l’esigenza ultima di qualunque dipendente di vedersi tutelare nel trattamento di dati particolarmente sensibili.