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La pronuncia del Tribunale di Treviso sulla cessione occulta d’azienda: elementi rivelatori ed effetti sui creditori
Trib. Roma, 22/4/2021, n. 6948
Trib. Treviso, 30/11/2018, n. 2395
Si commenta nel presente contributo la sentenza risolutiva del Tribunale di Treviso n. 2395/2018 nella controversa materia della “cessione occulta d’azienda”. La sentenza è dirimente in quanto indica con chiarezza quali sono gli elementi fattuali rivelatori di tale illegittima fattispecie, fornendo un utile strumento per verificare se l’azienda di cui si è creditori abbia compiuto una cessione occulta e reso di conseguenza impossibile il recupero del proprio credito.
Prima di approfondire la sentenza in commento, proponiamo alcune precisazioni preliminari sull’istituto della “cessione d’azienda” disciplinato dall’art. 2556 del Codice Civile.
Che cos'è la cessione occulta d'azienda
La cessione d’azienda (o trasferimento d’azienda) è il contratto con cui viene ceduta un’azienda intesa come “complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. In sintesi, si verifica quando la proprietà passa da un’impresa all’altra.
Con la cessione, l’azienda che vende (c.d. “azienda cedente”), unitamente alla “proprietà”, trasferisce all’azienda che acquista (c.d. “azienda cessionaria”) la titolarità dei debiti (e dei crediti) con effetto a partire dal momento dell’iscrizione dell’atto di cessione nel registro delle imprese. Ciò implica che, una volta perfezionatosi il trasferimento, i creditori dell’azienda cedente (lavoratori, fornitori di beni e servizi, enti di riscossione ecc.) diverranno in automatico creditori dell’azienda cessionaria.
Capire se un’operazione societaria costituisce una cessione diventa quindi fondamentale per tutti i creditori al fine di verificare se potranno esercitare il diritto di riscuotere il credito direttamente dall’azienda cessionaria.
Il diritto di riscuotere il credito dall’azienda cessionaria, tuttavia, viene meno quando l’azienda compie una operazione conosciuta come “cessione occulta d’azienda”. Ciò avviene quando l’imprenditore, di fatto, cede l’azienda senza formalizzare l’accordo di cessione con un apposito contratto scritto (non è rara l’ipotesi in cui l’imprenditore “nasconda” una cessione d’azienda per eludere i debiti intestati alla società cedente).
Il contenuto della sentenza
Esaminiamo ora le due questioni principali risolte dalla pronuncia giurisprudenziale in commento.
In primo luogo, è stato chiarito come affinché si configuri una cessione occulta d’azienda deve considerarsi irrilevante l’eventuale estinzione della azienda cedente. Pertanto - secondo il Tribunale Trevigiano - è possibile che si configuri una cessione occulta anche quando l’azienda cedente continui ad esercitare l’attività come da oggetto sociale ma si dimostri che la “vera e propria” attività sia svolta dall’azienda cessionaria.
In secondo luogo, il Tribunale di Treviso ha confermato l’orientamento di legittimità secondo il quale l’obbligo (ad probationem) della forma scritta (atto pubblico o scrittura privata) previsto dall’art. 2556 c.c. non produce effetti preclusivi per i terzi che rivendicano diritti nei confronti dell’azienda ceduta. In merito a tale punto, è chiarissimo l’inciso di una risalente sentenza - richiamata dal Tribunale di Treviso - della Suprema Corte di Cassazione (Cass. 6071/1987):
“… l’art. 2556, primo comma, cod. civ., ove prescrive la forma scritta ad probationem per i contratti aventi per oggetto il trasferimento della proprietà o del godimento di azienda, opera solo con riguardo alle parti contraenti e non è applicabile ai terzi, da parte dei quali la prova del trasferimento dell’azienda non è soggetta ad alcun limite (e, quindi, può essere data anche con testimonianze e presunzioni)”
In altri termini - secondo la Cassazione - l’assenza della forma scritta nella cessione d’azienda impedisce di dimostrare l’esistenza del trasferimento solo ai contraenti (azienda ceduta e cessionaria) ma non ai terzi. Ciò comporta che i contraenti non potranno provare l’esistenza del trasferimento, mentre, al contrario, i creditori dell’azienda ceduta potranno dimostrarlo attraverso qualsiasi mezzo di prova previsto dall’ordinamento processuale, incluso quello delle “testimonianze” e delle “presunzioni”.
Tuttavia, nella realtà è improbabile che il creditore di un’azienda sia in possesso di prove documentali o testimoniali in grado di svelare l’esistenza della cessione, in quanto le variegate operazioni che “nascondono” il trasferimento sono molto spesso riservate e condivise unicamente dai contraenti e dai propri professionisti. Questo è il motivo per cui spesso i creditori dell’azienda ceduta sono costretti ad affidarsi alle “presunzioni”, cioè un mezzo di prova che consiste nel fornire al Giudice un fatto noto dal quale il Giudice trae un fatto ignoto (l’esempio tipico di presunzione è il c.d. “alibi” inteso quale fatto che esclude la colpevolezza).
Quali fatti possono valere come "presunzioni"?
Il Tribunale di Treviso ha avuto il merito di soffermarsi su quali fatti possono valere come “presunzioni” per accertare che un’azienda abbia occultamente acquistato un’altra azienda. In particolare, ciò può avvenire quando l’azienda che si presume essere l’acquirente abbia:
- L’identità del nome e/o della ragione sociale dell’azienda cedente;
- L’identità fisica della sede di esercizio dell’azienda cedente;
- L’identità (o anche la sola somiglianza) dell’attività svolta dall’azienda cedente;
- L’identità dei recapiti, quali numero di telefono e di fax dell’azienda cedente;
- L’utilizzo dello stesso dominio internet dell’azienda cedente;
- L’eventuale riferimento nelle comunicazioni al pubblico (cartacee o digitali) alla attività dell’azienda cedente;
- L’uso degli elementi caratterizzanti l’avviamento dell’azienda cedente (es. vanto dei lavori pregressi, uso delle liste clienti ecc.)
- La riassunzione di tutti i dipendenti il giorno immediatamente successivo al licenziamento disposto dall’azienda cedente.
Occorre chiarire come tali elementi non siano requisiti legislativi obbligatori per accertare una “cessione occulta d’azienda”, ma rappresentino apprezzamenti di fatto del giudice che - in quanto tali - potrebbero essere valutati e/o interpretati diversamente caso per caso.
Con una recente sentenza n. 6948 del 22/4/2021 il Tribunale di Roma ha ritenuto sufficienti il n. 2 (identità di sede) e il n. 3 (identità o somiglianza dell’attività) degli elementi dell’elenco, aggiungendo, rispetto al Tribunale di Treviso, l’elemento dell’identica ripartizione delle partecipazioni sociali da parte dei soci dell’azienda ceduta (nel caso di specie, gli stessi soci dell’azienda cedente al 50% erano divenuti soci al 50% dell’azienda cessionaria).
La valutazione circa l’esistenza della fattispecie della “cessione d’azienda occulta” dipende, quindi, da un apprezzamento del singolo giudicante sulle singole vicende fattuali. Il giudice che si trova a decidere di un caso di cessione occulta d’azienda potrebbe utilizzare uno, alcuni o tutti i fatti sopra riportati a secondo del suo prudente apprezzamento.
In conclusione, occorrerà rivolgersi al proprio legale per accertare che la vicenda concreta presenti dei fatti che costituiscano una presunzione processuale, oltre che per “persuadere” il giudicante sulla “giusta” rilevanza probatoria da attribuire a ciascun fatto oggetti di indagine.