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Impossibilita di utilizzare la prestazione lavorativa e diritto al licenziamento

19/06/2014

Impossibilità di utilizzare la prestazione lavorativa e diritto al licenziamento

[Cass. Civ. Sez. Lav. 12/02/2014 n° 3224]

Un operaio specializzato dal proprio datore di lavoro per inidoneità alle mansioni svolte, ciò a causa di un comprovato peggioramento delle propri condizioni di salute.
Impugnato il licenziamento ed all'esito del relativo percorso giudiziale il provvedimento espulsivo veniva confermato, avendo accertato nel merito l'impossibilità ad una diversa utilizzazione in altro settore aziendale.
La pronuncia si segnala sia per l'accertamento sugli oneri probatori in capo alle parti che per la singolarità delle decisioni prese.
In primis, è utile evidenziare come seppure in primo grado il lavoratore era riuscito a dimostrare la correlazione diretta tra danno fisico e mansioni affidategli dal proprio datore di lavoro, questo non aveva impedito al giudice di prime cure di confermare il provvedimento espulsivo. L'inesistenza in azienda di mansioni equivalenti da affidare al lavoratore, rendeva infatti inidonea la permanenza del lavoratore al suo interno, il quale non aveva allegato le modalità con cui il datore di lavoro avrebbe potuto effettuare il repechage.
In appello, addirittura, la sentenza veniva riformata, avendo dimostrato il datore di lavoro l'esistenza di attività sportive extralavorative, da sole idonee a causare o peggiorare la malattia fisica di cui era affetto il lavoratore. In questo caso, onere probatorio avversario sarebbe stato quello di dare sicura riconducibilità della malattia alle mansioni svolte dal lavoratore in azienda, difendendosi su quanto contestato dal datore di lavoro per la diversa attività svolta fuori dai locali aziendali. L'aver sottovalutato questo punto è stato centrale. Vero è infatti che seppure l'impossibilità di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato spetta al datore di lavoro, cionondimeno il lavoratore deve – necessariamente – indicare tutte quelle mansioni a cui potrebbe essere affidato.
Se non lo fa, affermano i Supremi Giudici, non può chiedere che sia il magistrato a sostituirsi in sua vece, tentando di ricercare un “qualsiasi lavoro” che lo soddisfi, perchè tale compito è precluso al giudicante, così come previsto nel processo del lavoro.