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Il dispositivo medico si frantuma durante un intervento, il fabbricante è tenuto a risarcire il danno patito dal paziente?
Il dispositivo medico si rompe durante un intervento clinico, chi deve risarcire i danni patiti dal paziente?
La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta affermando la responsabilità del fabbricante, “in quanto titolare di una posizione di garanzia, per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili ai difetti strutturali dei macchinari messi in commercio, a meno che l’utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tali da poter essere considerata causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento”.
Per meglio comprendere la ratio sottesa alla pronuncia indicata, si ripercorrono brevemente le fasi che hanno caratterizzato la querelle giudiziaria.
In primo grado, l’imputato veniva chiamato a rispondere per lesione colpose per avere, in qualità di legale rappresentante della azienda produttrice, fabbricato e commercializzato una pinza chirurgica, che si frantumava durante un intervento di neurochirurgia spinale praticato su un paziente. In seguito alla frattura, un piccolo frammento della pinza si collocava in uno spazio intervertebrale del paziente, risultando inamovibile e successiva causa di un peggioramento sintomatico dell’assistito.
L’originario giudizio si concludeva con una assoluzione per l’imputato, dal momento che, secondo il Giudice, dalla documentazione probatoria emergeva che la rottura della pinza fosse da attribuirsi alla presenza di ossidi all’interno dell’acciaio creatasi nella fase di costruzione dello strumento. La presenza di inclusioni nei metalli doveva considerarsi fisiologica - se contenibile entro una certa soglia – nel processo produttivo e perciò non completamente eliminabile. Invero, l’inclusione sarebbe stata evitabile solo con controlli di tipo radiografico o a mezzo di onde sonore che, tuttavia, nessuna disposizione impone al fabbricante.
La sentenza veniva impugnata dal paziente e la Corte d’Appello, con decisione del 27 febbraio 2019, pronunciandosi ai soli effetti civili, condannava l’imputato al risarcimento dei danni patiti dall’istante.
Il Giudice di secondo grado individuava in capo al fabbricante l’obbligo cautelare “di provvedere ad effettuare ogni integrazione di sicurezza nella progettazione e costruzione dei presidi medici”, così come imposto dalla normativa relativa ai dispositivi medici vigente all’epoca dei fatti, ossia il D. Lgs. n. 46/97.
Conseguentemente, la Corte di Appello riteneva sussistere il nesso causale “tra la mancata predisposizione di un diligente controllo sul materiale adoperato per la fabbricazione della pinza alla lesione patita dalla persona offesa”, affermando dunque la responsabilità agli effetti civili dell’imputato, ossia condannandolo alla refusione dei danni patiti dal paziente.
L’imputato adiva così la Corte di Cassazione e la vicenda giudiziaria trova oggi il suo epilogo con la pronuncia in commento, con cui viene stabilito che
“grava sul produttore di un qualunque manufatto o attrezzo – che sia destinato ad interagire con un individuo – un generale obbligo di garantire che non vi siano difetti strutturali suscettibili di arrecare danni durante l’utilizzo”.
Gli obblighi in capo al fabbricante conducono, infatti, all’individuazione di una posizione di garanzia che lo stesso assume nel processo di produzione del dispositivo medico.
Più esattamente, la fonte dell’ obbligo cautelare per il fabbricante è da rinvenire, senza ombra di dubbio, nel D.Lgs. n. 46/97 (ma oggi anche nel Reg. Ue 2017/745), che impone di produrre i dispositivi in modo che
“la loro utilizzazione non comprometta lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, ne' la sicurezza e la salute degli utilizzatori (…) fermo restando che gli eventuali rischi debbono essere di livello accettabile (….) "
Inoltre,
“le soluzioni adottate dal fabbricante per la progettazione e la costruzione dei dispositivi devono attenersi a principi di rispetto della sicurezza, (…) dovendo:
- eliminare o ridurre i rischi nella misura del possibile;
- se del caso adottare le opportune misure di protezione nei confronti dei rischi che non possono essere eliminati eventualmente mediante segnali di allarme
- informare gli utilizzatori dei rischi residui dovuti a un qualsiasi difetto delle misure di protezione adottate".
In conclusione, secondo la Corte di Cassazione, il fabbricante avrebbe dovuto adottare tutte le cautele e i controlli del caso (e quindi anche radiografici o a onde sonore, sebbene non imposti da specifiche disposizioni) volti a verificare l’assenza di inclusioni nel materiale utilizzato per la realizzazione dello strumento chirurgico rilevatosi, poi, dannoso.
Solo così facendo, infatti, il fabbricante sarebbe riuscito ad ottemperare agli obblighi derivabili dalla sua (indiscutibile?) posizione di garanzia.