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I NUOVI LICENZIAMENTI alla luce del contratto a tutele crescenti e dei primi arresti giurisprudenziali
Cass. Sez. Lav. 13/10/2015 n.20540
Quando sono legittimi i licenziamenti con il contratto di lavoro a tutele crescenti introdotto dal c.d. Jobs Act? Quando si rischia la reintegra sul posto di lavoro del dipendente licenziato?
Si è sostenuto da più parti, non ultimo negli organi di stampa, che la vera rivoluzione del mercato del lavoro sia la “libertà” di poter licenziare il lavoratore che non ci piace più, pagandogli una piccolo risarcimento. Diciamo subito che le cose non stanno così. Vero è infatti che, in primis, anche la nuova legge fa salvi (con reintegra e conservazione del posto di lavoro) i c.d. licenziamenti nulli, ovvero quelli intervenuti in periodo di malattia, di gravidanza, discriminatori e quelli più in generale ritorsivi, quando cioè la causale giustificativa del licenziamento è diversa da quella formalmente adottata dal datore di lavoro (tu mi rispondi male, io ti licenzio perché asserisco di essere in crisi).
Cosa accade per tutti gli altri? Cosa accade se un lavoratore “risponde male” al proprio superiore gerarchico?
Astrattamente quel dipendente può essere licenziato perché il fatto è esistente e si è verificato, ma secondo l'ultima pronuncia della Cassazione sembrerebbe invece che lo stesso possa agevolamene richiedere di essere reintegrato sul posto di lavoro.
La Cassazione infatti, pur riferendosi ad un rapporto di lavoro instaurato prima del 7 marzo 2015 (rispetto al quale non trovano quindi applicazioni le disposizioni del Jobs Act) ha chiarito cosa debba intendersi per insussistenza del fatto materiale, lo stesso posto a presidio della reintegra sul posto di lavoro del lavoratore licenziato anche secondo la nuova disciplina in parola.
Vero è infatti che ad un prima lettura anche delle nuove norme sembrerebbe possibile sostenere che o il fatto non è sussistente (ad esempio non abbiamo mai avuto modi sgarbati sul luoghi di lavoro) o se tale fatto è sussistente (e quindi abbiamo tenuto un comportamento sconveniente) il Giudice possa solamente applicare la tutela indennitaria (2 mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di 4) al lavoratore illegittimamente licenziato.
La Cassazione, invece, spiega che prima di fare una valutazione sulla sussistenza o meno del fatto, sia necessario verificare se tale comportamento sia illecito, oppure no.
Nell'ipotesi sottoposta al vaglio della Corte, poiché il contestato comportamento poco educato del lavoratore non è da considerarsi un “fatto illecito”, i Supremi giudici non hanno neanche indagato oltre, e hanno disposto la reintegra del dipendente.
Cosa significa? Che licenziare oggi, anche in pendenza della nuova disciplina, è si meno rischioso di come non lo fosse in precedenza, ma che la causale giustificativa del licenziamento deve essere relativa ad un fatto che sia “illecito” ovvero una mancanza grave, notevole, tale da essere giuridicamente rilevante.
Sono esclusi quindi dal suddetto computo quei comportamenti che, seppure sconvenienti, non risultano tanto gravi da essere non essere considerati neanche illeciti disciplinari (e tale è il comportamento di colui che, senza le buone maniere e quindi senza educazione, si relazione in maniera sconveniente con il proprio superiore gerarchico, senza tuttavia commettere ad esempio un'insubordinazione).
Pertanto, grande attenzione va riposta da parte del datore di lavoro nel momento in cui intende comminare la sanzione espulsiva, con ciò prescindendo dall'applicabilità al caso concreto delle disposizioni previste per i contratti a tutele crescenti, perché la reintegra in Italia (e ci viene da dire “per lungo tempo”) è pur sempre possibile.