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I finanziamenti in ambito sanitario: quali rischi 231?
La ricerca medica ricopre da sempre un ruolo preminente in ordine al progresso economico e sociale del Paese ed è destinataria, soprattutto negli ultimi tempi, di importanti spinte finanziarie che sfruttano e valorizzano le grandi potenzialità derivanti dai rapporti tra il settore pubblico e quello privato.
Ora più che mai, quello dei finanziamenti pubblici costituisce un tema di notevole interesse per le aziende del settore sanitario: basti pensare ai numerosi progetti di finanziamento che negli ultimi anni sono stati stanziati dall’Unione Europea e alla loro notevole entità, oltre che ai fondi previsti con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”) che dedica alla Missione Ricerca e Sviluppo (4) 30 miliardi di euro e alla Missione Salute (6) 15 miliardi di euro.
Tali risorse hanno forte potere attrattivo sulle imprese private che operano nel settore medico, incluso l’ambito pharma e medicale, ma occorre che la corsa all’accaparramento delle erogazioni pubbliche o all’instaurazione di rapporti con la pubblica amministrazione sia gestita in modo strutturato e controllato.
Nel settore farmaceutico, in particolare, le forme di finanziamento previste sono diverse a seconda che si tratti di studi profit o non profit. Gli studi profit sono promossi da società farmaceutiche o da strutture private a fini di lucro e sono per lo più condotti per l’ottenimento dell’autorizzazione all’immissione in commercio del farmaco o per fini regolatori. Gli studi non profit invece sono promossi da enti pubblici o istituti di ricerca non a fini di lucro e sono finalizzati a migliorare la pratica clinica.
La previsione di incentivi fiscali e di finanziamenti pubblici crea un’area di rischio interessata dalla normativa sulla responsabilità amministrativa da reato degli enti. Questo in quanto l’adozione di comportamenti illeciti volti all’ottenimento di erogazioni e finanziamenti dello Stato e delle Comunità Europee costituisce fattispecie di reato ai sensi dell’art. 640 bis del Codice penale. Quest’ultimo, inserito all’art. 24 del d.lgs. 231/2001, costituisce al contempo uno dei reati presupposto che può comportare la responsabilità dell’ente quando l’attività “truffaldina” viene commessa da soggetti apicali o subordinati a vantaggio e nell’interesse dell’ente medesimo.
Si badi bene però che, come recentemente affermato in una pronuncia della Corte di Cassazione Penale (sent. n. 23300 del 2021), il reato presupposto si intende commesso a vantaggio dell’ente quando i capitali eventualmente ottenuti mediante inganno o raggiro vengono utilizzati per lo svolgimento dell’attività dell’ente stesso. Al contrario, si escluderà l'"interesse" per l'ente, laddove venga dimostrato che il finanziamento illecitamente ottenuto sia stato immediatamente distratto a vantaggio esclusivo dei soci.
In sostanza, se i capitali illecitamente ottenuti finiscono per alimentare l’attività d’impresa, l’ente sarà ritenuto responsabile ai sensi della normativa 231.
Le imprese dovrebbero evitare che le importanti occasioni di accesso ai finanziamenti di natura pubblica e di instaurazione di rapporti di partenariato pubblico-privato si trasformino in perdite finanziarie consistenti. Proprio per questo motivo, l’adozione di un Modello organizzativo può aiutare le imprese a ridurre al minimo o evitare del tutto il rischio di commissione di reati rilevanti ai sensi della disciplina 231.