Con la pubblicazione del nuovo Codice Deontologico di Farmindustria si registra una svolta nell’ambito della divulgazione di informazioni sanitarie relative a farmaci soggetti a prescrizione.
Farmindustria recepisce, dopo svariati anni, alcuni principi già espressi in ambito comunitario e nazionale, volti a dirimere il sempre attuale rischio di confusione tra attività pubblicitaria ed attività informativa.
Più esattamente, l’art. 113 del c.d. Codice del Farmaco (D.Lgs. n. 219/2006) definisce la pubblicità dei medicinali (indistintamente rivolta al pubblico o a soggetti autorizzati alla prescrizione) come “qualsiasi azione d’informazione, di ricerca della clientela o di esortazione, intesa a promuovere la prescrizione, la vendita o il consumo di medicinali”. Si tratta di quelle attività che hanno come scopo quello di incentivare la vendita - dunque meramente commerciale – trascendendo dall’obiettivo di divulgazione e informazione scientifica che, invece, il legislatore impone a tutela del diritto alla salute costituzionalmente tutelato. Di contro, il legislatore vieta espressamente la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione (sul tema della pubblicità del farmaco da banco si veda invece l’articolo "Per i farmaci da banco é consentito lo sconto. E per i trattamenti sanitari?"
In tale restrittivo quadro va però considerato che, sempre il Codice del Farmaco (e come vedremo a breve anche la Corte di Giustizia), esclude dall’applicabilità della norma menzionata (quindi non considera pubblicitarie) le informazioni diffuse che abbiano ad oggetto:
- l’etichettatura e il foglio illustrativo;
- la corrispondenza necessaria per richiesta precisa di informazioni su un determinato medicinale;
- le informazioni inerenti gli imballaggi, le avvertenze sugli effetti indesiderati, i cataloghi di vendita e gli elenchi dei prezzi, purché non contengano informazioni sul medicinale.
Tali fattispecie sono state poi chiarite e arricchite dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE (sent. del 5 maggio 2011, nella causa C-316/09). In particolare, la Corte, opportunamente, identificava i principali indici di una comunicazione a carattere informativo che, per essere tale, deve:
- contenere informazioni limitate alla riproduzione fedele della confezione e del foglietto informativo o anche un riassunto delle caratteristiche del prodotto come approvate dalle autorità competenti (es. AIFA);
- essere priva di qualsiasi selezione o manipolazione delle informazioni (es. la sola indicazione dei benefici del farmaco), poiché diversamente si potrebbe presumere la volontà di conferire al messaggio un carattere pubblicitario;
- contenere informazioni disponibili con sistema “pull”, tramite il quale la consultazione delle predette informazioni verrebbe resa possibile solo a seguito di un’azione attiva di ricerca da parte dell’utente, così evitando che la persona non interessata al medicinale sia costretta a prendere visione – pur non volendo – delle relative informazioni. Diverso è infatti il caso in cui si adotti un sistema “push”, a mezzo del quale l’utente di Internet si trova “investito” da comunicazioni indesiderate che appaiono spontaneamente sullo schermo (questa è, per l’appunto, una tipica strategia di marketing pubblicitario).
È solo a distanza di più di un decennio, però, che Farmindustria, il 19 gennaio 2022, recepisce “su carta” l’interpretazione comunitaria, con ciò smorzando il generale divieto di divulgare al pubblico informazioni su farmaci sottoposti a prescrizione medica (nel senso già previsto dall’art. 113 del Codice del Farmaco).
A tale scopo, vengono introdotte tre importanti previsioni sul nuovo Codice di Farmindustria che consentirebbero alle aziende farmaceutiche, in un contesto non promozionale e senza finalità pubblicitaria, di:
- interagire, anche per il tramite del loro personale operativo territoriale (e. gli informatori scientifici del farmaco), con soggetti non prescrittori ma coinvolti nella somministrazione delle terapie, i quali potranno partecipare ad eventi, corsi o congressi non riguardanti i farmaci (art. 3.25);
- informare il pubblico su prodotti e patologie, anche attraverso la pubblicazione sui siti internet aziendali ad accesso pubblico informazioni relative al brand dell’azienda farmaceutica (si tratterebbe della, già possibile, pubblicità istituzionale?) e la riproduzione integrale e letterale del foglietto illustrativo, nonché della confezione. Ciò non senza dei precisi limiti: le informazioni, infatti, da un lato non dovranno essere modificate o rimaneggiate o parzialmente diffuse; dall’altro, dovranno essere accessibili esclusivamente a seguito di un’azione attiva dell’utente. In sostanza, non è ammesso l’utilizzo delle tipiche tecniche di marketing (art. 3.26);
- fornire informazioni non promozionali sui medicinali ai diversi interessati quali: operatori sanitari e non, organizzazioni sanitarie, Più esattamente, viene delineata la disciplina delle interazioni rispetto alle attività di (i) accesso e institutional affairs (ammesso l’uso di materiali aventi contenuti farmaco-economici o connessi al valore del prodotto, allo scopo di garantire migliore accessibilità ai farmaci), (ii) account management (ammessa la consegna di listini nell’ambito delle attività di interazione con soggetti pubblici o privati, allo scopo di agevolare l’applicazione delle politiche commerciali in tema di approvvigionamento dei farmaci) e (iii) scientific exchange (ammessa la condivisione proattiva di dati e insight connessi alla pratica clinica o all’attività di accesso di nuovi prodotti), (art. 3.28).
La codificazione delle fattispecie richiamate è senz’altro apprezzabile, poiché se da un lato mantiene fermo il primario obiettivo di tutelare i diritti dell’utente/paziente costituzionalmente riconosciuti (non solo il diritto alla salute, di certa prevalenza, ma anche il diritto all’informazione e ad essere informati), dall’altro si premura di certificare il diritto delle aziende farmaceutiche di interfacciarsi – seppur cautamente e con dei limiti – anche con il pubblico, sino ad oggi escluso da qualsivoglia attività da queste provenienti.
Tuttavia, solo tra qualche tempo si potranno concretamente verificare gli effetti e/o le eventuali criticità applicative sui quali le aziende farmaceutiche potrebbero incorrere con le future attività informative diffuse, la cui liceità andrà senz’altro verificata caso per caso.