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E' INAMMISSIBILE L'OTTEMPERANZA PER L' ESECUZIONE UNA SENTENZA DI RIGETTO
La legge prevede che chiunque vanti un credito (munito di titolo esecutivo) possa agire esecutivamente nei confronti anche di una Pubblica Amministrazione ma, accanto agli strumenti generalmente messi a disposizione dal Codice di Procedura Civile (pignoramenti mobiliari, immobiliari, presso terzi ecc.), nel caso in cui il debitore sia una P.A. esiste un altro strumento (a volte molto piu' efficace di quelli precedentemente elencati), ovvero il ricorso per ottemperanza. E' una procedura di stampo amministrativo che prevede la facolta del creditore, una volta ottenuta una sentenza a Lui favorevole di pagamento, di ricorrere al TAR competente affinché venga cristallizzato un termine perentorio per il versamento da parte del debitore pubblico e, nel caso d'inutile decorso di detto termine, il medesimo TAR provvedera allora a nominare un Commissario ad Acta il quale, sostituendosi alla P.A. rimasta inerte, ha il potere di far eseguire “materialmente” il pagamento richiesto. Nella sentenza in oggetto succedeva che alcuni dipendenti pubblici ricorrevano al Giudice amministrativo per vedersi riconosciute, da parte dell'INPS, alcune maggiorazioni nelle loro indennita di buonuscita ed il TAR riconosceva detto loro diritto; tuttavia tale pronuncia veniva riformata in appello a sfavore dei ricorrenti, i quali si trovavano quindi costretti a restituire le indennita gia percepite ma detti dipendenti, in buona fede, su espressa richiesta dell'INPS, provvedevano a restituire, oltre alle somme percepite, anche gli interessi, seppure la sentenza nulla avesse statuito in merito. Di conseguenza detti dipendenti pubblici, una volta accortisi dell'”errore”, richiedevano all'INPS la restituzione retroattiva degli interessi ma l'ente previdenziale rimaneva inerte, ragion per cui tali dipendenti si rivolgevano nuovamente al Giudice amministrativo per richiedere la corretta ottemperanza della sentenza a suo tempo emessa dal Consiglio di Stato; secondo i ricorrenti, infatti, poiché la sentenza di 2° grado non riconosceva gli interessi, l'INPS non solo non avrebbe potuto chiederli ma, vieppiu', eppure “accettarli”. Il Consiglio di Stato tuttavia, investito della questione, negava la possibilita stessa di ricorrere allo strumento dell'ottemperanza in quanto “il ricorso per l'esecuzione di giudicato [.] non e utilizzabile per l'esecuzione di pronunce di rigetto, anche in mancanza di un'espressa regola che circoscriva l'ottemperanza alle sole decisioni di accoglimento”. In altri termini, se e pur vero che dalla sentenza di rigetto scaturiva, nei confronti dei ricorrenti, un astratto diritto alla restituzione degli interessi (in quanto non previsti e, quindi, non richiedibili), gli stessi tuttavia avrebbero dovuto ricorrere nuovamente alla magistratura per accertare il loro diritto alla restituzione di detti interessi, chiedendo quindi una specifica condanna alla loro restituzione da parte della pubblica amministrazione e non, invece, agire attraverso lo strumento del giudizio di ottemperanza, che e utilizzabile nei soli casi in cui gli obblighi di pagamento risultino certi e dovuti (anche nel loro ammontare) e non, invece, nell'ipotesi in cui si debba chiedere la messa in esecuzione di una sentenza “negativa” (ovvero di rigetto).
CONS. STATO, VI°, 26/3/2013 N. 1675