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Il diritto alla “disconnessione” del dipendente tra realtà e contratti collettivi
Proliferano gli accordi tra le parti sociali e le imprese per garantire ai dipendenti il diritto alla disconnessione dai luoghi di lavoro.
Un passo indietro.
È noto che l’avvento della digitalizzazione ha portato con sé la possibilità per l’azienda di garantirsi una parte della prestazione anche al di fuori del luogo di lavoro.
Ciò tuttavia comporta una continua connessione del lavoratore con le attività aziendali, con particolare riferimento a chiamate e messaggeria istantanea, ma certamente anche tramite email.
Si è posto quindi il problema se regolamentare anche i periodi di pausa dal lavoro, normalmente coincidenti con l’orario notturno e con il fine settimana. In altre parole, cioè, ci si è domandati se fosse giusto impedire (anche tramite sistemi informatici aziendali) la mancata ricezione/spedizione di email, o messaggi da parte dei dipendenti e ad iniziativa dei propri superiori gerarchici o colleghi, così da consentire un pacifico godimento dei tempi di riposo.
Tanto è più vero con lo smartworking, nel lavoro cioè in cui la prestazione non è eseguita nei locali aziendali ma – prevalentemente – dal proprio domicilio. Negli accordi azienda-lavoratore sono pressoché sempre disciplinati gli orari in cui il dipendente deve risultare disponibile “da remoto” e quelli invece riservati alla gestione del suo tempo libero; per evitare la non-effettiva “disconnessione” dello smart worker, molte società stanno correndo ai ripari con specifichi blocchi dei sistemi informatici aziendali.
In questo contesto si segnalano quindi diversi accordi quadro volti a dare effettiva e concreta attuazione a questi principi. Su tutti si segnalano quelli di Cattolica Assicurazioni e Findomestic, e in particolare quello di Unicredit, che ha anche inibito le chiamate effettuate al di fuori del normale orario dell’attività lavorativa, e ciò porrà evidenti limitazioni ai dipendenti poiché contravvenire a tali obblighi contrattuali sarà suscettibile di contestazione disciplinare da parte dell’azienda, con tutte le conseguenze del caso.
Conclusivamente si sottolinea questa “difesa” dei datori di lavoro e lavoratori dal progresso tecnologico, affinché lo stesso non risulti essere, in luogo di una importante risorsa, un peggioramento delle condizioni lavorative dei dipendenti.