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Puo essere pubblicita anche se fatta da un giornalista
CGCE 2 aprile 2009 C-412/07
Di assoluto rilievo la recente sentenza Corte di Giustizia Comunita Europee 2 aprile 2009 in materia di pubblicita di farmaci.
Stabilisce infatti principi giuridici molto interessanti (in una materia nella quale le sentenze sono poche) e che possono trovare sicura applicazione anche negli altri settori della pubblicita, vale a dire (ad esempio) in ambito di pubblicita di professionisti o strutture.
Il caso.
Un prodotto (L'Hyben Total) veniva prima autorizzato come medicinale dall'Agenzia danese dei medicinali (per la cura della gotta, calcoli biliari, nefropatie, cistopatie ecc) nel 1999 veniva invece ritirato dal commercio in tale Stato.
Nel corso del 2003, un giornalista danese (il sig. Damgaard) indicava sul suo sito Internet che l'Hyben Total conteneva rosa canina e alleviava i dolori provocati dalla gotta o dall'artrosi precisando altresi che tale medicinale era in vendita in Svezia e in Norvegia. Apertosi il procedimento penale per violazione della legge sulla pubblicita sanitaria il giornalista si difendeva sostenendo di non aver percepito alcuna remunerazione dall'azienda produttrice del farmaco e che quindi l'iniziativa doveva essere intesa quale libera manifestazione del pensiero.
Al contrario il giudice danese sosteneva che detta divulgazione di informazioni era da considerarsi pubblicita in quanto diretta ad incoraggiare i consumatori ad acquistare l'Hyben Total, indipendentemente dalla questione se esistesse un vincolo tra l'interessato e il produttore o il venditore di tale medicinale. Tale attivita quindi secondo tale giudice doveva farsi rientrare nella nozione di «pubblicita» ai sensi dell'art. 86 della direttiva 2001/83 (direttiva specialita medicinali attuata in Italia dal DLgs 219/'06) e doveva quindi essere vietata in ragione del fatto che in Danimarca l'immissione in commercio di detto medicinale, il cui consumo l'attivita del giornalista mirava a promuovere, vietata in Danimarca.
La questione veniva rinviata in Corte di Giustizia ove il giudice comunitario era chiamato ad esprimersi e a far luce su aspetti della materia particolarmente delicati: la valutazione dei criteri di distinzione