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Attuato (in parte) il DDL Lorenzin: definiti profilo e competenze dell'osteopata, ma ancora lacune normative sul percorso formativo
Al via l’emanazione dei decreti attuativi del DDL Lorenzin (Legge n. 3/2018) che, lo si rammenta, sanciva l’ingresso dell’osteopata tra i professionisti sanitari.
Va ricordato che, in epoca antecedente all’intervento normativo in parola, l’unico riconoscimento a livello mondiale dell’osteopatia consisteva nella sua collocazione, da parte dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), nell’ambito delle Medicine Tradizionali, Complementari ed Alternative.
Al di là dei Benchmarks di formazione – pubblicati nel 2010 dall’OMS – la professione dell’osteopata poteva essere esercitata liberamente, avulsa dalle limitazioni proprie di quelle professioni sanitarie che, per definizione, interagiscono con la persona e contribuiscono alla cura ed al benessere della stessa. L’assenza di regolamentazione manifestava, poi, notevoli (e quasi incontrollate) criticità a discapito della tutela della salute del cittadino.
Se ne menzionano alcune:
- possibile abuso di esercizio di un’attività di competenza di altre figure professionali appositamente normate, quali il medico specializzato e il fisioterapista;
- impossibilità di verificare adeguatamente qualifica e competenze dell’operatore allo svolgimento della professione.
Il DDL Lorenzin rappresentava quindi un primo punto di partenza per l’Italia per colmare il, sino ad allora, esistente vuoto normativo e stare al passo con altri paesi del mondo (come Inghilterra, Francia, Finlandia, Svizzera, Stati Uniti, Canada, Turchia) che già da tempo avevano regolamentato la figura dell’osteopata.
Seppure questa legge abbia segnato già un traguardo per gli operatori del settore, gli osteopati italiani hanno, tuttavia, dovuto attendere tre anni per assistere dell’emanazione del primo decreto attuativo, ossia il DPR 7 luglio 2021, 131.
Oggi, con il DPR 7 luglio 2021, n. 131:
- è formalmente individuato l’osteopata quale professionista sanitario (art. 1), definito come “il professionista sanitario, in possesso di laurea triennale universitaria abilitante o titolo equipollente e dell’iscrizione all’albo professionale, che svolge in via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie interventi di prevenzione e mantenimento della salute attraverso il trattamento osteopatico di disfunzioni somatiche non riconducibili a patologie, nell’ambito dell’apparato muscolo scheletrico”;
- sono definiti gli ambiti di attività e le aree di competenza: l’osteopata opera oggi in sinergia con il medico competente per la diagnosi, operando una valutazione tramite “l’osservazione, la palpazione precettiva e i test osteopatici per individuare la presenza di segni clinici delle disfunzioni somatiche del sistema muscolo scheletrico” (art. 2);
- è regolamentato il contesto operativo: l’osteopata potrà svolgere la propria attività “nelle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private (…), in regime di dipendenza o libero-professionale” (art. 3).
Per la definizione del percorso formativo e il riconoscimento dei titoli bisognerà, invece, attendere (si confida non per altri tre anni) un ulteriore decreto attuativo che istituisca e definisca il percorso universitario – verosimilmente una laurea triennale abilitante – e l’equipollenza dei titoli che consentirebbe, dunque, agli osteopati non laureati di esercitare la professione. Più esattamente, con successivo accordo, verranno “individuati i criteri di valutazione dell’esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli pregressi alla laurea universitaria in osteopatia, il cui ordinamento didattico è definito con decreto del Ministro dell’istruzione” (art. 4, DPR 131/2021)
Le novità introdotte dal DDL Lorenzin, qui brevemente riassunte, lasciano però aperto uno spiraglio di incertezza in merito a quelle che saranno (se ci saranno):
- le modalità di inserimento dell’osteopata all’interno delle strutture sanitarie, pubbliche e private;
- le uniformi regole di comportamento dei nuovi professionisti sanitari; nonché
- i soggetti deputati all’attività di vigilanza e controllo circa il rispetto di tali regole ed il corretto svolgimento della professione.