Vuoi ricevere i nostri aggiornamenti?

Registrati per accedere ai contenuti riservati e iscriverti alla nostra newsletter

Responsabilità sanitaria e Covid-19: continua la riflessione sullo "scudo" per gli operatori sanitari (e non...?)

17/06/2020
Silvia Pari

Nei mesi appena passati si è lungamente discusso circa la possibilità di dare ingresso, nel nostro ordinamento, a norme che prevedessero, da un lato, la abolizione della responsabilità civile delle strutture ospedaliere pubbliche e private e dei professionisti ivi operanti in relazione agli eventi dannosi legati all’emergenza sanitaria da Covid-19, fatta eccezione per i casi nei quali fossero ravvisabili gli estremo del dolo o della colpa grave, e che limitassero, dall’altro, la punibilità del personale sanitario, sul versante penale, per gli eventi avversi verificatisi in costanza di emergenza sanitaria, anche qui ai soli casi di colpa grave.

Nessuna norma del genere anzidetto ha ricevuto formale approvazione, a causa delle proteste sollevate da più parti, ma è rimasta all’ordine del giorno della riflessione politica la necessità di individuare una soluzione operativa condivisa che consenta di garantire, da un lato, la tutela dei cittadini e degli operatori sanitari ma, dall’altro, anche quella delle Aziende, mettendo in sicurezza la sostenibilità stessa dell’intero sistema.

Ed ecco che, in questo senso, il Ministero della Salute sta lavorando ad alcune ipotesi di “scudo”, soprattutto sul versante della responsabilità penale, volte a evitare che gli operatori sanitari (ma non solo) impegnati nella lotta al Covid-19 possano finire nelle aule di tribunale per azioni e/o omissioni verificatesi nel periodo emergenziale.

Per quanto attiene all’ambito applicativo, detto scudo dovrebbe essere posto a presidio delle condotte, verificatesi durante lo stato di emergenza o, in ogni caso, a esso legate, compiute nell’esercizio di professioni sanitarie e sociosanitarie ma, altresì, nello svolgimento di funzioni dirigenziali, presso strutture (pubbliche o private) 

Dal punto di vista dei soggetti ai quali lo “scudo” in esame andrebbe ad applicarsi, gli stessi vengono identificati negli operatori delle professioni sanitarie e sociosanitarie, lasciandosi, tuttavia, aperta una finestra anche per le funzioni dirigenziali e amministrative, in ambito sia pubblico sia privato.

Quanto, infine, alle attività interessate, le stesse si sostanzierebbero nella prevenzione, diagnosi e cura ma, altresì, nella direzione e gestione delle strutture sotto il profilo amministrativo.

Nell’ambito dei confini sopra delineati, le ipotesi di “scudo” allo studio del Ministero della Salute sono attualmente tre:

  • 1° Soluzione è Escludere la configurabilità come reato delle azioni od omissioni poste in essere nell’esercizio della professione sanitaria oppure di una funzione dirigenziale in ambito sanitario, durante l’emergenza sanitaria o in conseguenza della stessa. 

In tale caso rimarrebbe aperta, sotto il versante civilistico, la possibilità di ricorrere a un regime speciale di indennizzo, a carico dello Stato, con costituzione di un apposito fondo;

  • 2° Soluzione è Escludere la rilevanza penale di tutti i fatti colposi posti in essere, sempre nell’esercizio della professione sanitaria oppure di una funzione dirigenziale in ambito sanitario, durante l’emergenza sanitaria o in conseguenza della stessa, riservandosi la sanzione penale ai soli casi di dolo.

Rimarrebbe aperta, anche qui, la possibilità, sotto il versante civilistico, di ricorrere a formule indennitarie a carico dello Stato;

  • 3° Soluzione è Limitare la punibilità ai soli casi di colpa grave (sia essa determinata da negligenza, imperizia o imprudenza), laddove vi sia stata una violazione manifesta e ingiustificata delle “leges artis”, delle linee guida, delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica oppure dei protocolli e programmi specifici predisposti per fronteggiare la situazione di emergenza, sempre che il loro rispetto fosse attuabile nelle specifiche condizioni di emergenza. 

In tal senso vengono proposte due possibili modalità di azione dell’anzidetto meccanismo:

  1. Individuare ex lege i casi nei quali è da intendersi in ogni caso esclusa la sussistenza della colpa grave;
  2. Rimettere al Giudice di merito la valutazione complessiva della gravità della colpa, sulla base di alcuni indicatori, fra i quali, a titolo esemplificativo: la divergenza tra la condotta effettivamente osservata e quella che sarebbe stato legittimo attendersi; la situazione logistica, ambientale e organizzativa in cui il soggetto si sia trovato a operare; il tempo a disposizione per assumere le decisioni; l’oscurità del quadro patologico; il grado di atipicità, eccezionalità o novità della situazione; etc.

Rimarrebbe sempre inalterata, anche in tale ultima ipotesi, la responsabilità civile, con previsione di un meccanismo indennitario a carico dello Stato e costituzione di un apposito fondo. I dubbi sulla legittimità (o, addirittura, sulla costituzionalità) delle tre soluzioni sopra abbozzate sono numerosi e stringenti e, pertanto, il dibattito è ancora lungi dal potersi dire concluso.

Non rimane, dunque, altro da fare che attendere che il quadro complessivo si definisca, nella consapevolezza che un intervento in materia è quantomeno necessario e opportuno.


***

Questo articolo fa parte della rubrica "Emergenza Coronavirus: focus per le imprese". Vedi qui gli altri approfondimenti