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L’uso dei dati personali a fini commerciali: i “contratti di dati personali”
La politica comunitaria del Digital Single Market favorisce la libera circolazione dei dati allo scopo di sviluppare la cosiddetta “economia dei dati”; alla luce di ciò occorre approfondire “come” circolano i dati o in altre parole se i dati possono essere oggetto di controprestazione contrattuale.
La domanda da porsi è quindi: l’autorizzazione al trattamento di dati personali rilasciata dall’Interessato può essere il corrispettivo per un bene o un servizio?
Il tema è oggetto oggi di ampio dibattito.
Con le Direttive 770/2019, 771/2019 e 2161/2019 l’Unione europea risponde in modo affermativo, stabilendo esplicitamente che il cittadino può autorizzare il trattamento di propri dati come corrispettivo per la fruizione di un contenuto digitale o un servizio digitale.
Il riconoscimento del trasferimento di dati personali e l’autorizzazione al trattamento per fini commerciali diventano dunque “controprestazione contrattuale”, al pari del pagamento in denaro, tanto è vero che l’utente che abbia “pagato” permettendo l’acceso ai propri dati personali, ai sensi della Dir. UE 2019/770, potrà azionare tutti i rimedi previsti dalla disciplina consumeristica in caso di mancata fornitura o di difetto del servizio o del contenuto digitale, quali, ad esempio, il recesso, la riduzione del prezzo, il risarcimento.
Si parla pertanto di “contratti di dati personali”.
Occorra allora domandarsi quale disciplina civilistica nazionale può ritenersi applicabile a tali contratti.
Ad una prima analisi sembra che nessuno degli istituti noti del diritto civile sia del tutto adeguato a disciplinare il contratto di dati.
Non la vendita (art. 1470 c.c. “La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”) e neppure l’appalto di servizi (art. 1655 c.c. “L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”); entrambi gli istituti contrattuali nelle definizioni sia del codice civile che del codice del consumo prevedono il pagamento di un prezzo.
La normativa europea al contrario esclude espressamente la mercificazione dei dati: la Dir. UE 770/2019 sancisce infatti “Oltre a riconoscere appieno che la protezione dei dati personali è un diritto fondamentale e che tali dati non possono dunque essere considerati una merce, la presente direttiva dovrebbe garantire che i consumatori abbiano diritto a rimedi contrattuali, nell’ambito di tali modelli commerciali”. Tale previsione osta al fatto di poter considerare il trasferimento dei dati come “prezzo” e quindi di poter applicare l’istituto della vendita o dell’appalto di servizi.
Anche la permuta definita dal codice civile all’art. 1552 come “il contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose o di altri diritti, da un contraente ad un altro”, non appare del tutto idoneo a disciplinare il contratto di dati; l’utente infatti nei contratti di dati non trasferisce la proprietà dei propri dati personali quanto piuttosto ne consente l’accesso ed il trattamento alla controparte contrattuale.
Si potrà quindi pensare ad un contratto “atipico” ovvero ad un contratto che non appartiene ad una fattispecie determinata, ma che è comunque diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Proprio perché si tratta di un contratto atipico, appare assolutamente rilevante (sia per ragioni di trasparenza che per ragioni di valore giuridico) che il contratto stesso sia disciplinato in modo esaustivo nelle Condizioni generali di contratto che il prestatore di servizi digitali sottoporrà all’utente, tenendo ben a mente due concetti
- certamente il contratto di dati rientra nell’ambito della disciplina consumeristica e, se concluso tramite i servizi della società dell’informazione, in quella specifica delle vendite a distanza: andranno quindi applicate le relative discipline del Codice del Consumo
- il consumatore dovrà essere reso edotto del fatto che il servizio o il contenuto digitale NON sono affatto gratuiti, in quanto la “controprestazione” è data appunto dal rilascio dei dati e dall’autorizzazione al loro utilizzo commerciale.
Questi due punti trovano conferma certa non solo nella disciplina delle Direttive del 2019, il cui recepimento è previsto entro l’anno, ma anche dalla recente sentenza del Consiglio di Stato (Facebook vs AGCM n. 2630 del 29/3/2021), in cui i giudici affermano l’ingannevolezza e la scorrettezza commerciale di FB insita nel presentarsi agli utenti come gratis mentre, in realtà, si fa pagare in dati personali che sfrutta poi nella dimensione commerciale.