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Si può recedere da un patto di non concorrenza?
Di particolare interesse è la pronuncia in commento, che analizza la fattispecie del patto di non concorrenza, disponendo la nullità del recesso unilaterale del datore di lavoro dal vincolo che ha imposto al proprio dipendente, ma confermando la possibilità di prevedere opzioni da esercitarsi prima del recesso dal rapporto.
Andiamo in ordine.
E’ noto che il patto di non concorrenza è un contratto a prestazioni corrispettive, accessorio al contratto di lavoro subordinato, a titolo oneroso, disciplinato dall’art. 2125 c.c..
Attraverso il suddetto accordo, il datore di lavoro si obbliga a pagare una somma di denaro al lavoratore, a fronte dell’impegno di questo a non svolgere attività in concorrenza con quella del datore di lavoro, dopo la cessazione del rapporto.
Così inquadrata sommariamente la disciplina i Supremi giudici hanno inteso chiarire come “ci si possa liberare” in maniera unilaterale da un accordo di tal fatta.
Sgombriamo subito il campo da equivoci: se il patto di non concorrenza è “equilibrato”, e pertanto la zona, l’oggetto e il compenso sono congrui tra loro, il lavoratore è obbligato ad adempiere all’impegno sottoscritto contrattualmente, e pertanto questi non può affatto disattendere l’obbligo di cui si discute di svolgere attività in concorrenza.
Diversa è invece la questione se a voler recedere è il datore di lavoro.
La Corte di Cassazione ha infatti chiarito che il recesso è del tutto incompatibile con il patto di non concorrenza, indipendentemente da quando lo stesso viene esercitato. Questo perché il patto di non concorrenza comporta, fin dalla sua stipulazione un obbligo di non fare, consistente nel non poter accettare offerte di lavoro di società in concorrenza con il datore di lavoro.
Si tratta di un obbligo ulteriore rispetto all’art. 2105 c.c., che vieta di trattare affari in concorrenza con il datore di lavoro per tutta la durata del rapporto di lavoro, atteso che lo stesso consente pacificamente di potersi dimettere ad andare presso una società in concorrenza. Vero è infatti che un contratto su cui sussiste un patto di non concorrenza è un accordo che limita il dipendente anche per il presente, nel senso che questi rifiuterà ogni e qualsivoglia proposta si dovesse presentare anche in corso di rapporto.
Sarebbe, così, sproporzionato, da un lato il “tenere il lavoratore nel limbo”, dall’altro conservare il diritto di poter recedere liberamente. Ogni recesso unilaterale è quindi del tutto precluso anche al datore di lavoro.
Al contrario, i Supremi Giudici, nella Sentenza in commento hanno ritenuto valide le clausole di opzione perché, finché l’opzione non è esercitata, nessuna delle parti è soggetta alle obbligazioni del patto e il lavoratore è libero di accettare offerte di lavoro in concorrenza con quelle del datore di lavoro. In merito alle clausole di opzione, il relativo termine di esercizio deve rispettare il principio di buona fede e, quindi, deve essere attivato prima della comunicazione di una delle due parti del recesso dal rapporto di lavoro, ricadendosi diversamente nell’ipotesi di nullità sopra enunciata.