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Revirement della Cassazione: la conciliazione sindacale può svolgersi solo presso le cd. sedi protette

14/05/2024

Introduzione

Con una pronuncia unica nel suo genere, la Cassazione, nella recente ordinanza n. 10065 del 15/04/2024, dichiarava la nullità di un verbale di conciliazione sottoscritto in presenza del conciliatore sindacale ma non in una delle cd. sede protetti di cui all’art. 2113 c.c., in netto contrasto con i suoi precedenti, anche recenti (cfr. Cass. n. 975 del 18/01/2024), in materia di conciliazioni sindacali.

I fatti

Una Società sottoscriveva con un proprio dipendente una conciliazione sindacale con ad oggetto la rinuncia, da parte della Società, a dare seguito al preavvisato licenziamento a fronte dell’accettazione, in capo al lavoratore, di una riduzione della retribuzione mensile (nella misura del 20% dell’imponibile fiscale, per circa due anni). La conciliazione avveniva presso i locali aziendali ed in presenza di un conciliatore sindacale, il quale provvedeva ad avvertire il lavoratore circa gli effetti definitivi e inoppugnabili della conciliazione ai sensi dell’art. 2113, co. 4 – come riportato testualmente nel verbale sottoscritto –. Infine, le Parti si impegnavano a ratificare successivamente l’accordo con le modalità inoppugnabili di cui agli art. 410 c.p.c. (presso la commissione di conciliazione ITL) e 411 c.p.c. (ovvero in sede sindacale). 

La validità del verbale sottoscritto veniva quindi impugnata giudizialmente, ed incredibilmente, per addirittura entrambi i gradi di giudizio (primo e secondo grado), la Società vedeva l’accordo invalidato dai giudici in quanto non sottoscritto in una delle cd. sedi protette di cui all’art. 2113 c.c.  - ovvero la sede giudiziale, le commissioni di conciliazione presso l’ITL, le sedi sindacali e i collegi di conciliazione e arbitrato -. 

Contrariamente a quanto sostenuto dal datore di lavoro, sia il Tribunale che la Corte di Appello ritenevano che i locali aziendali non fossero un luogo idoneo ad acquisire il libero consenso del dipendente e che, pertanto, nonostante la presenza del conciliatore sindacale, non fosse stato raggiunto il livello di protezione per il lavoratore richiesto dall’art. 2113 c.c.

La controversia arrivava quindi in Cassazione, dove la Società denunciava un’erronea interpretazione, da parte dei giudici di merito, del concetto di “sede protetta”, da considerarsi, a suo dire, quale luogo virtuale di protezione del lavoratore piuttosto che un luogo fisico – topografico. 

Le ragioni della decisione

La Cassazione rigettava tuttavia il ricorso, rimarcando, in linea di continuità con i percenti gradi di giudizio, comela modalità di sottoscrizione dell’accordo fra le Parti in causa non integrasse i requisiti previsti dalla legge, in quanto verificatasi al di fuori di una delle cd. sedi protette di cui all’art. 2113, co. 4, c.c.: pertanto la conciliazione doveva considerarsi nulla.

Argomentando la propria decisione nel merito, gli Ermellini ritenevano la protezione del lavoratore nell’ambito delle conciliazioni sindacali non sia affidata esclusivamente al rappresentante sindacale, bensì anche al luogo fisico in cui la conciliazione si verifica. 

Motivo, questo, per il quale il Legislatore individua all’art. 2113, co. 4 c.c., un elenco tassativo di “sedi” ove formalizzare la conciliazione sindacale, proprio in ragione della loro neutralità ed estraneità rispetto al dominio e all’influenza della controparte datoriale, condizione necessaria a garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia ai propri diritti. 

Di contro, qualsiasi altro luogo deve essere considerato inidoneo ad integrare detta protezione.

Conclusioni

La Cassazione, con la pronuncia in questione, sancisce una nuova interpretazione letterale e restrittiva del concetto di “sede protetta, volta sicuramente ad assicurare un più elevato grado di protezione del lavoratore; tuttavia, nella prassi, detto orientamento introduce maggiori complessità in capo ai datori di lavoro che intendono ricorrere allo strumento conciliativo, anche alla luce della sempre maggiore diffusione delle cd. conciliazioni telematiche (tema che, peraltro, non viene minimamente contemplato nel provvedimento trattato).

Infine, non può non rilevarsi come l’ordinanza in questione si discosti integralmente dall’orientamento consolidato della Cassazione, secondo cui rileva, piuttosto che il luogo formale effettivo della stipula, il requisito sostanziale della “effettività dell’assistenza sindacale”.
Con molte probabilità, quindi, questo radicale contrasto giurisprudenziale verrà sollevato di fronte alle Sezioni Unite, le quali avranno l’ultima parola sul tema.