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Rassegna giurisprudenziale in materia di consenso informato
Non è certo la prima volta che i giudici di legittimità discutono delle implicazioni risarcitorie derivanti da mancata o scorretta acquisizione del consenso informato alle cure.
Così come sempre discussi gli aspetti riguardanti la forma del consenso informato ai fini della sua validità.
Di questi temi tratterà il presente articolo, il quale propone un focus riepilogativo degli aspetti da considerare quando si tratta di consenso informato.
Delle implicazioni risarcitorie in materia di lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente, determinato dalla mancata o scorretta acquisizione del consenso, si occupa l’ordinanza n. 30032/2023 della Corte di Cassazione. Quest’ultima chiarisce alcuni dei problemi attinenti al diritto al consenso informato e alle conseguenze giuridiche della sua violazione, tenuto conto del fatto che il diritto al consenso informato è cosa diversa dal diritto ad ottenere un trattamento terapeutico corretto.
Per affrontare la questione, la Corte opera un interessante (e utile) excursus giurisprudenziale formatosi in materia di consenso informato, precisando quando alla lesione di quest’ultimo corrisponda una risarcibile lesione del diritto all’autodeterminazione. Tali aspetti possono essere riassumibili in alcuni principi che di seguito si esporranno.
Punto cardine di partenza di qualsivoglia ragionamento sul consenso informato consiste nella generale considerazione che l’inadempimento dell’obbligo di informazione sussistente nei confronti del paziente può assumere rilievo autonomo ai fini risarcitori, anche quando non sussiste un danno alla salute ovvero un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto all’informazione.
Da tale presupposto i conseguenti punti di attenzione:
- quali sono i presupposti per proporre domanda di risarcimento per lesione dei doveri di informazione al paziente?
- la sussistenza di conseguenze pregiudizievoli di natura non patrimoniale derivanti dalla – dunque, causalmente connesse alla - violazione del diritto all’autodeterminazione (quale valore in sé considerato);
- tali conseguenze debbono essere di apprezzabile gravità, ovvero superare la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale, e non futili o consistenti in meri disagi o fastidi (cfr. Ordinanza n. 20885/2018);
- quali sono i danni risarcibili?
- il danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento (o all’atto terapeutico in generale) e di subirne le conseguenze invalidanti;
- il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa della carenza informativa, il paziente abbia subito un pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale diverso dalla lesione del diritto alla salute (Sentenza n. 28985/2019).
- se ricorre il consenso presunto (cioè si può presumere che il paziente, se correttamente informato avrebbe comunque prestato il consenso) e non vi è danno derivante dal trattamento sanitario ---> non è dovuto alcun risarcimento;
- se ricorre il consenso presunto unitamente al danno iatrogeno, ma non anche la condotta inadempiente del medico nell’esecuzione della prestazione sanitaria (quindi quando la prestazione è stata correttamente eseguita) ---> il risarcimento è possibile (Ordinanza n. 16633/2023). Tale possibilità dipende da quanto descritto al punto di seguito.
- chi è il soggetto onerato di fornire la prova?
Le conseguenze che derivino dalla lesione del diritto all’autodeterminazione (ad esempio, in conseguenza di un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa gli effetti pregiudizievoli), ossia senza un consenso legittimamente valido e/o legittimamente prestato, debbono essere debitamente allegate e provate dal paziente. Quest’ultimo dovrà dimostrare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, poiché la domanda risarcitoria si fonda sostanzialmente sul valore conferito dall’ordinamento alla scelta soggettiva di ognuno (Sentenza n. 28985/2019).
Dunque, per far si che il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione sia risarcibile, il paziente deve allegare e provare che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di se stesso, psichicamente e fisicamente (Ordinanza n. 16633/2023).
Quanto ricostruito dall’Ordinanza in commento si ritiene funga da buona bussola per orientarsi nella vasta e complessa materia del consenso informato. Sono, quelli rappresentati, i principi generali cardine rilevanti nell’ambito processuale, ma non anche gli unici.
Si pensi ad esempio alle – spesso ricorrenti – incertezze in merito all’interpretazione da attribuire alla normativa attuale (Legge n. 219/2017) che prevede che il consenso informato debba essere, in ogni caso, documentato in forma scritta.
Sul punto, a completezza della presente (breve) rassegna, si è di recente pronunciata la Suprema Corte con l’ordinanza n. 31026/2023 in materia di consenso informato rilasciato tramite un modulo prestampato. In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che l’acquisizione del consenso informato mediante moduli prestampati non è di per se vietata. Ciò che conferisce validità al consenso è il raggiungimento dello scopo ad esso sotteso, vale a dire quello di permettere al paziente di esprimere un consenso libero e – veramente – informato al trattamento sanitario. Ne deriva che anche il modulo prestampato può risultare idoneo al raggiungimento di tale scopo, quando questo contenga “informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico [ndr o di qualunque altro trattamento sanitario], dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”.
In definitiva, dunque, ciò che conta è l’aver messo il paziente nelle condizioni di autodeterminarsi liberamente, cioè nella consapevolezza dello stato e delle conseguenze che la condizione clinica vissute comportano, anche nella scelta o non scelta di soluzioni terapeutiche eventualmente idonee al caso di specie.
Da tale considerazione non può prescindersi in nessuno dei casi oggetto della presente rassegna, in quanto espressione di uno dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico (quello all’autodeterminazione), come tale, meritevole di tutela.